Arturo Onofri

Arturo Onofri“Poi egli appariva, alto, vestito di scuro, nel quadro dell’uscio. Sorrideva. Le rughe della fronte le rivedo come quelle che i cinesi tracciano sulla fronte dei loro sapienti. Occhi che guardavano e chiedevano sorridendo, mentre la bocca restava chiusa e un po’ dolente. E pure gli occhi illuminavano d’una luce fredda e calma tutto il lungo volto emaciato come quello d’un chimico solitario per anni fra le sue esperienze; e talvolta si facevano vitrei, come fissi ad arcani soggetti, oltre il nostro spazio, sguardo veggente, occhi profetici”. Così Giovanni Cavicchioli descrive il poeta nella sua biografia Arturo Onofri.Una vita breve ma intensa quella del poeta, un artista decisamente emblematico del gusto letterario italiano del primo dopoguerra.

Arturo Onofri nacque a Roma il 15 settembre 1885 e vi morì il giorno di Natale del 1928, a soli 43 anni. Compiuti gli studi classici, trovò un impiego che gli consentì di dedicarsi agli studi letterari e filosofici. Temperamento inquieto, attraversò le esperienze poetiche e culturali del primo Novecento con la precisa intenzione di ricercare l’autoconoscenza. Iniziò a scrivere poesie a soli 18 anni, e nel 1907 veniva pubblicato il suo primo volume. Oltre che poeta, fu sagace critico letterario; nel 1912 fondò la rivista Lirica, (1912-13), che rivelò alcuni giovani scrittori romani, ma collaborò anche alle principali riviste del tempo, quali la Nuova Antologia, La Voce, Le Cronache Italiane.Partendo da una formazione pascoliana e dannunziana si accostò man mano ai poeti crepuscolari, ai futuristi, ma successivamente la sua personalità emerse con decisione – a partire da Arioso (1921) – dando vita a nuove concezioni estetiche. Sull’elemento fantastico prevalse allora l’elemento spirituale.

La sua poesia ricordava inizialmente Pascoli, i poeti francesi e soprattutto D’Annunzio, (Liriche, 1907; Poemi tragici, 1908, Canti delle oasi, 1909). Già in tali libri, ma maggiormente in Liriche (1914), egli iniziò a trovare la propria forma espressiva nella ricerca e celebrazione dell’elemento spirituale.Dopo le risonanza impressionistiche di Orchestrine (1917) e l’esperimento di Ariosto (1921), Nuovo Rinascimento come arte dell’Io (1925) rappresenterà la sua prima risposta all’elaborazione dei contenuti della Scienza dello Spirito cui aderì entusiasticamente dopo l’incontro con Rudolf Steiner.In effetti Onofri – poeta molto caro ai circoli esoterici della Capitale e a Massimo Scaligero in particolare – fu sempre attratto dalla metafisica e dai misteri del trascendente e trovò limpidezza e armonia di canto solo quando trovò la risposta alle sue domande grazie alla Scienza dello Spirito; la tanto anelata visione spirituale del mondo iniziò allora a delinearsi in Le trombe d’argento (1924), e trovò la sua più alta espressione nel ciclo di liriche Terrestrità del Sole (dal 1927 ) – che comprende: Terrestrità del Sole, 1927; Vincere il Drago!, 1928; le opere postume Simili a melodie rapprese in mondo, 1929; Zolla ritorna cosmo, 1930; Suoni del Gral, 1932; Aprirsi fiore, 1935. In realtà, la poesia di Onofri indica con passione il sentiero che conduce alla Verità. Il lettore, attraverso la tessitura poetica, viene esortato a compiere la stessa trasformazione interiore che ha portato il poeta alla sua creazione. Ricercare, ritrovare e ricelebrare il divino nel terrestre diviene il segno della nuova arte poetica che Onofri rappresenta. Se durante la sua vita passò dall’essere considerato una “promessa” a venir emarginato dalla critica del tempo dopo l’incontro con Steiner e l’Antroposofia va detto che la poesia di Onofri resta sostanzialmente incompresa ancora al giorno d’oggi.Infatti, pur riconoscendo l’influenza di Onofri sui poeti ermetici, si tende a ritenere che il suo intento spiritualistico soffocasse l’espressione artistica.

Il suo aderire all’Antroposofia non gli venne perdonato.

Lo si accusò di tradurre in versi poetici le concezioni spirituali di Steiner, mentre quest’ultime erano semplicemente ciò che stimolava ed accendeva la sua creatività.Onofri riteneva che alla base della poesia dovesse esserci la manifestazione dello Spirito e la missione del poeta fosse di “toccare con la magia della parola l’essenza spirituale dell’universo… di partecipare, per amore parlante, all’atto originario del Verbo creatore”.Dunque la poesia è creatrice, in quanto partecipa all’atto creatore del Verbo che si rinnova continuamente, ma anche redentrice potendo “disincantare dal mondo materiale l’essenza plastica dello Spirito che vi si immerse foggiando la materia, e può riportare questo Spirito alla sua primitiva libertà e potenza risorta”.

Piero Cammerinesi

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