Ora, a parte le fiabe e le menzogne politicamente corrette, intendo nel mondo reale, vi sembra possibile?

Secondo Chuck Freilich, ex vice consigliere per la sicurezza nazionale del Paese, l’offensiva senza precedenti di Hamas è stata permessa dal “disordine” delle forze armate e dei servizi di intelligence israeliani. Si tratta di un fallimento catastrofico nei confronti di Gaza, ha dichiarato a Politico.

È un fallimento in termini di intelligence, dal punto di vista operativo. È chiaro che siamo stati colti totalmente impreparati da questa situazione. Il quartier generale della divisione responsabile per Gaza è stato occupato, è in disordine, e quindi l’intera risposta è stata ritardata.

In effetti, nonostante Israele abbia una delle – se non la – agenzie di intelligence più rinomate al mondo, come ha permesso che si verificasse questa situazione? Dov’era l’esercito? La polizia?

Poi, sempre nell’intervista a Politico, Freilich aggiunge:

L’entità delle carenze di sicurezza avrà probabilmente ripercussioni importanti per i membri del governo. C’è sempre un raccogliersi a breve termine intorno alla bandiera. Ma una volta che il polverone si sarà posato, avremo importanti conseguenze politiche. Dopo la guerra dello Yom Kippur, ci sono voluti tre anni e mezzo per rovesciare il governo di Golda Meir – non credo che questa volta ci vorrà così tanto.

Ecco, forse questo è un indizio importante da seguire.

In effetti, Benjamin Netanyahu è stato sepolto dalle critiche alla sua proposta di legge sulla revisione giudiziaria che avrebbe danneggiato la preparazione militare di Israele. Il suo progetto di limitare il potere della Corte suprema di Israele di bloccare la legislazione approvata dalla Knesset ha provocato proteste di massa e il rifiuto di alcuni riservisti dell’esercito di continuare il loro servizio.

Cè anche chi, come Amos Yadlin, ex capo dell’intelligence dell’IDF, ha paragonato – in un articolo su The Times of Israelgli eventi di sabato al “fallimento dell’intelligence” della Guerra dello Yom Kippur – il cui cinquantenario è caduto, guarda caso proprio il 6 Ottobre –  quando Siria ed Egitto colsero di sorpresa l’esercito israeliano.

 

Eli Marom, ex capo della marina israeliana, ha domandato in diretta televisiva:

A conferma di quanto sopra, per passare ad un commentatore di casa nostra, va considerato anche quanto scrive Cesare Sacchetti, sempre a caldo, sugli eventi in Israele:

L’attacco di Hamas giunge dunque come provvidenziale nell’ottica di Netanyahu. Il premier israeliano attraverso la logica del nemico esterno ha potuto allontanare da sé la pressione che lo vedeva nell’occhio del ciclone e ha spostato l’attenzione degli israeliani sulla minaccia di Hamas.

Le immagini che stiamo vedendo in queste ore sembrano rafforzare l’ipotesi di attacchi consentiti o quantomeno non affatto respinti dalle forze armate israeliane, e questo in uno degli Stati più militarizzati al mondo è certamente un elemento alquanto anomalo.

Israele è uno stato dove ogni centimetro è presidiato dalle forze armate e questo appare sicuramente come una circostanza che non ha spiegazioni a meno che non si prenda in considerazione l’ipotesi di un’improvvisa e completa inettitudine dell’agguerrito esercito israeliano.

 

A questo proposito forse una delle riflessioni più interessanti viene da Alexander Dugin che scrive, in un post su Twitter (ora X):

…è la reazione a catena – e soprattutto il comportamento degli Stati islamici (in primo luogo Iran, Turchia, Arabia Saudita, altri Stati del Golfo ed Egitto) – che potrebbe essere la logica continuazione. O almeno, questo è ciò che gli strateghi di Hamas potrebbero aver avuto in mente quando hanno deciso di iniziare il conflitto. Il multipolarismo si sta rafforzando, l’intensità dell’egemonia occidentale nel non-occidente collettivo si sta indebolendo. Gli alleati dell’Occidente nel mondo islamico – soprattutto la Turchia e i sauditi – non seguono automaticamente ogni ordine di Washington. Questa è la situazione in cui il polo islamico, che di recente si è unito in modo provocatorio ai BRICS, sarà messo alla prova.

Ecco, qui si amplia la prospettiva.

Non solo questioni interne di Israele ma anche il panorama internazionale che sta mutando vertiginosamente e con esso gli equilibri geopolitici.

Anche Sacchetti è della stessa opinione:

Lo stato ebraico attraversa un momento molto delicato della sua esistenza e si trova a dover fare i conti non solo con un isolamento internazionale ormai assoluto, vista la presa di distanza dell’Arabia Saudita, ormai membro dei BRICS, e la freddezza di Washington nei suoi riguardi.

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