Come la Pandemia ha fatto dimenticare il Giuramento d’Ippocrate

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Intervista al Dottor Fabio Burigana

 

Fabio Burigana, medico chirurgo, gastroenterologo, esperto di approcci alla salute secondo la prospettiva della complessità, è Direttore del Comitato medico-scientifico di IppocrateOrg.


Dottor Burigana cos’è e come nasce il movimento di Ippocrate?

Dunque parto proprio dall’inizio. Siamo nella primavera del 2020. Mauro Rango, il fondatore del movimento, si trova nelle isole Mauritius e da lì vede le terribili notizie di contagi e morti dell’Italia. Non si spiega come mai nel nostro Paese i livelli di mortalità siano così alti e quindi scrive una email a una cerchia ristretta di amici. Pensa che bisogna far qualcosa, che bisogna portar supporto alle persone, evitare che arrivino all’ospedalizzazione. Quella sua comunicazione si è diffusa rapidamente tra amici di amici, rete di medici e sanitari. Abbiamo subito capito che non potevamo stare fermi. Così, mentre in quel momento era molto difficile recarsi a casa delle persone, abbiamo iniziato a pensare di doverle visitare e curare precocemente con la medicina classica. Avevamo capito che, a dispetto della “vigile attesa” prescritta dalle Linee guida ufficiali del governo, il fattore tempo poteva fare la differenza. Quindi abbiamo iniziato a organizzarci su tutto il territorio nazionale, sentendoci quotidianamente e scambiandoci pareri su come affrontavamo ogni caso. Ogni malato era a sé e non poteva essere certo trattato con univocità. Naturalmente il primo passo era quello di redigere la cartella clinica: annotare allergie, farmaci che assumeva e malattie pregresse. C’era il paziente diabetico, l’obeso, l’anziano, il cardiopatico: con ognuno dovevamo muoverci cautamente valutando tutte le opzioni e le conoscenze in nostro possesso. Cercavamo di limitare i ricoveri. Ricevevamo moltissime telefonate di parenti e famigliari che ci chiedevano aiuto per evitare l’ospedalizzazione, perché sapevano che poi sarebbe stato difficile rimanere in contatto con il loro caro. E sappiamo bene quanto avere vicino i propri famigliari sia un aspetto fondamentale della buona guarigione.

Abbiamo visitato più di 70.000 persone, affrontando, oltre all’urgenza sanitaria, anche tanti problemi legali, come per esempio il rispetto della privacy dei nostri assistiti. Ma per fortuna siamo da subito stati supportati da una rete di avvocati e giuristi che ci ha fornito aiuto e consulenza. Se potevamo, cercavamo di mantenere sempre un contatto diretto col medico di base della persona. Più passava il tempo più la nostra attività si allargava, fino a stringere contatti e confronti anche su scala internazionale. Avevamo capito che il fattore decisivo della nostra attività era la formazione: era importante che le esperienze e le conoscenze raggiunte venissero condivise, in modo da non ripartire sempre da capo. Non c’erano domeniche e non c’erano feste. E il tutto ovviamente gratuitamente. Siamo arrivati ad essere più di 200 medici su tutto il territorio nazionale. Almeno una volta a settimana poi facevamo delle riunioni per confrontarci su tutte le questioni che emergevano. Ognuno, all’interno del movimento, iniziava a prendere dei ruoli ben precisi. Io, assieme alla dottoressa Rosanna Chifari, ho preso a occuparmi del coordinamento scientifico perché mi tenevo informato e aggiornato su ogni nuovo studio scientifico che usciva, soprattutto quelli riguardanti possibili nuove terapie per trattare diversamente la malattia. Ad esempio, ogni medico che conosce un minimo la letteratura scientifica sa che la Tachipirina, a parte il vantaggio di essere poco gastrolesiva, non ha un effetto antinfiammatorio e la malattia cagionata dal virus Sars-Cov2 implicava proprio un’enorme attivazione dei sistemi infiammatori e coagulativi. Quindi, oltre ad agire il più precocemente possibile sulla malattia, era fondamentale allargare la prospettiva terapeutica prevista dai protocolli ufficiali e intervenire con la somministrazione di antinfiammatori non steroidei (FANS). Successivamente siamo ricorsi anche a eparina e cortisone, nei tempi giusti e con dosaggi diversi a seconda di chi avevamo davanti e a seconda di come reagiva. Mentre noi applicavamo queste conoscenze intanto continuavano gli attacchi istituzionali, ci accusavano di essere dei guru e dei santoni. Ma, siccome iniziavano a uscire i primi studi scientifici che ci davano ragione – ad esempio quello del Mario Negri sugli antinfiammatori – e ci confermavano che stavamo andando nella direzione giusta riuscendo cioè ad abbassare la letalità – ovvero la percentuale di morti sulla popolazione contagiata – abbiamo continuato ad andare avanti e a seguire la nostra strada.

 

Che tipo di attacchi avete subìto?

Gli attacchi che abbiamo subìto sono stati diversi e di diversa entità, dalla ridicolizzazione mediatica ai richiami espliciti da parte dell’ordine dei medici, oltre, naturalmente, alle sospensioni per la mancata vaccinazione. A questo punto va chiarito che la posizione nei confronti del vaccino era variegata. Il fatto più clamoroso riguarda settembre 2021, quando si tenne al Senato l’International Covid Summit per discutere di cure domiciliari con relatori da tutto il mondo. Abbiamo ricevuto 2 mesi di attacchi feroci da tutti i giornali appartenenti al cosiddetto “mainstream”, in linea con la narrazione dominante. La principale accusa era quella di non seguire la scienza, screditando così il nostro lavoro sul territorio. Ci invitavano nelle trasmissioni TV proprio col fine esplicito di metterci in ridicolo, attraverso battute, slogan, provocazioni e senza lasciarci il minimo tempo per spiegare e illustrare al pubblico il nostro operato. Così è accaduto anche qualche mese fa, quando il programma Zona Bianca di Giuseppe Brindisi sembrava aver realizzato una vera e propria macchina del fango nei nostri confronti, dipingendoci come stregoni, lasciandoci senza diritto di replica e confezionando un servizio appositamente tagliato e cucito per screditarci. Questa vuole essere solo un’impressione e rimando alla visione delle trasmissioni.

Quel che è emerso chiaramente in questi tre anni è che il sistema mediatico è tutto costruito sull’emotività: puoi esprimerti solo con battute o frasi ad effetto; i concetti, la discussione e il confronto non possono trovare spazio perché è tutto finalizzato a trasmettere in poco tempo un messaggio ben preciso e già preventivato. E questo è inammissibile per chi vuol parlare con serietà e complessità di cura e di scienza.

Il 18 ottobre 2022 è uscito sul Journal of Clinical Medicine (MDPI) il primo studio al mondo ad aver descritto i comportamenti dei medici che si sono presi cura dei pazienti ambulatoriali affetti da Covid 19. Sono stati esaminati i percorsi curativi da parte di 10 medici all’interno dell’Associazione IppocrateOrg. Dallo studio emerge come su un totale di 392 pazienti, il 99,6% sia guarito: un paziente è stato perso al follow-up ed un paziente è morto dopo il ricovero in ospedale. La letalità in questa casistica si è attestata allo 0,2%, mentre complessivamente nello stesso periodo in Italia è stata superiore al 3%.

Ritorniamo alle accuse di “non seguire la scienza”. Può commentare questa crepa che si è consumata nella pandemia?

Il tema è di vecchia data e ha radici profonde non solo nella professione medica, ma in quella di chiunque. Quel che fa la differenza è il tipo di formazione che uno riceve: se si sceglie di rimanere esclusivamente ancorati al sapere specialistico che viene spesso trasmesso come univoco o se invece s’intende spaziare, guardandosi intorno e ampliando gli orizzonti delle conoscenze, al di là dei paletti e dei confini imposti. Quel che di peculiare è accaduto durante la pandemia è stato utilizzare, in nome della scienza, l’emotività e la paura delle persone, spingendole ad accettare cose altrimenti inaccettabili. Ricorderemo a lungo la frase di Mario Draghi “se non ti vaccini muori”, ovviamente rivelatasi falsa. A livello sociale è stata inflitta una ferita politica enorme, difficile da rimarginare, perché hanno voluto far credere che da una parte stavano i buoni e dall’altra i nemici della società. Ma questa non è scienza. È semmai un trauma con cui dovremo fare a lungo i conti credo.

E una volta arrivati i vaccini poi cosa è accaduto?

Quando sono arrivati i vaccini abbiamo sempre cercato di mantenere una posizione molto cauta, in coerenza col principio ippocratico primum non nocere. Non avremmo mai potuto immaginare che l’uniformazione dei protocolli di cura, già vista durante la prima fase della pandemia, si sarebbe brutalmente ripetuta anche con l’arrivo dei vaccini.

Per esempio pretendevamo molti più studi e più dati prima di consigliare la vaccinazione ai bambini: per molti mesi hanno detto che eravamo di fronte a una malattia molto lieve in ambito pediatrico, poi a tutti i costi si è voluto far pressione anche su di loro. Ma nessuno poteva negare che con un’immunità naturale la protezione data dal vaccino era di poca entità. Sta di fatto che più passava il tempo più si notava che la famosa “immunità per anni” che avrebbe dovuto dare il vaccino aveva una durata davvero ridotta. A un certo punto era divenuto fin troppo chiaro che la somministrazione del vaccino non bloccava affatto la circolazione del virus. Eppure si continuava a usare il green pass come dispositivo di sicurezza. Quindi cosa si doveva fare, vaccinare tutta la popolazione ogni 2-3 mesi o occuparsi di medicina territoriale e domiciliare, valutando attentamente, in base alla persona che avevamo davanti, quale approccio terapeutico intraprendere?

Una volta superate le fasi più critiche del Covid, come si è evoluta poi Ippocrate?

Dunque, fin da quando si è palesata la variante Omicron avevamo capito di essere davanti a una malattia più innocua. A quel punto ci siamo interrogati sul futuro e sul da farsi. Avevamo creato un direttivo organizzativo e scientifico, avevamo stretto contatti con molte associazioni, eravamo conosciuti dappertutto, ma avevamo ancora senso come associazione?  Ci siamo chiesti: chiudiamo o andiamo avanti? La risposta è arrivata quando moltissime persone hanno iniziato a contattarci per gli effetti avversi e i danni da vaccino. Quindi ci siamo subito rimessi a lavoro e siamo partiti con ulteriori attività. Avevamo raccolto abbastanza esperienza e cultura medica da pensare di doverne fare tesoro investendole in nuovi progetti.

Quindi è nata la Scuola di Ippocrate, con la peculiarità di unire la formazione scientifica a quella umanistica. Il fine è cambiare il paradigma della malattia e quindi della cura. Quando si è diffusa la notizia della nostra iniziativa diverse università ci hanno chiesto di proporre il percorso come un Master all’interno delle loro facoltà, ma ovviamente non abbiamo accettato perché abbiamo voluto proprio sottolineare questa frattura tra noi e le istituzioni per rifarci unicamente ai nostri valori riferimento.

In questi anni di pandemia sono tragicamente emersi tutti i deficit della nostra medicina: molti si sono sentiti abbandonati o vittime di protocolli rigidi e inadeguati in relazione al principio medico del rischio/beneficio che ha una valenza sempre particolare e individuale. Per fondare una nuova medicina è necessario curare il paziente in base alla sua unicità, alla sua storia e all’ambiente in cui è inserito. Ma è anche necessario che la medicina si apra ad altre discipline che si sappiano preoccupare del contesto in cui ciascuno vive. Riappropriarsi della nostra esistenza e della nostra salute, troppo spesso sotto attacco a favore del profitto di pochi, è un compito di tutti, ma soprattutto del medico e dello scienziato.

Poi, mettendo a frutto quanto sperimentato durante l’emergenza sanitaria, abbiamo deciso di condividere queste nostre esperienze strutturandoci sul territorio, nelle diverse regioni, con degli Studi Medici di Scopo. In questo modo possiamo continuare a essere un punto di riferimento per tutti i cittadini delusi e insoddisfatti dalle mancanze del sistema sanitario, promuovendo il ritorno a una sanità che metta al centro della propria azione il reale benessere della persona.

A breve, infine, sul nostro sito e sui nostri canali di comunicazione daremo informazioni sulla nascita di una nostra Rivista Scientifica, alla realizzazione della quale, come ad altri ulteriori progetti ed eventi, stiamo da tempo lavorando.

Se domani dovesse malauguratamente esplodere una nuova pandemia cosa non deve più succedere?

Non dovrebbe più succedere di non saper dare risposte alle persone.

Noi abbiamo creato un’organizzazione, una rete nazionale e internazionale, ci siamo mossi sul territorio, ascoltando le richieste e i problemi particolari. Siamo andati a vedere e sentire zona per zona quello che succedeva. Questo non vuol dire che sia stato tutto facile, né pensiamo che con una nuova pandemia avremo qualche capacità di incidere sulle decisioni sanitarie nazionali. Però siamo e siamo stati abbastanza forti da aver saputo rappresentare un’alternativa. I malati ci dovevano poter trovare in qualsiasi momento. Siamo ripartiti dalla base, dal rapporto con ogni singolo paziente, mentre dall’altra parte c’erano i protocolli e le ingerenze dei poteri politico-economici.
Invece la medicina è esattamente l’opposto di questo: è prima di tutto umiltà e umanità.

Intervista di Silvia D’Autilia

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