Basta sfogliare Elle o Vogue e si capisce che la tendenza dell’estate 2022 sono le righe, verticali, a contrasto, quelle del pigiama e delle divise. Chissà se ha preso nota della fausta coincidenza anche la Ferragni invitata dalla senatrice a vita ad aggiungere alle linee del suo brand: scarpe, accessori, gioielli, cosmetici, anche l’Olocausto.

Liliana Segre ha infatti voluto appellarsi all’imprenditrice digitale seguita da milioni di persone in tutto il mondo affinché usi il suo “potere” di influencer per far avvicinare i più giovani al Memoriale della Shoah, luogo di memoria e di incontro che  sorge nella zona sottostante il piano dei binari della Stazione Centrale di Milano, dove furono caricati su carri bestiame i prigionieri in partenza dalle carceri di San Vittore.

Conosco Chiara Ferragni, so che vive a Milano e so quello che fa. Ho visto che si è impegnata col marito su diversi temi di importanza sociale, ha detto in una intervista,  è sicuramente una donna attenta anche a argomenti diversi da quelli che riguardano il suo lavoro legato alla moda. Quindi, perché no?”. E ha aggiunto: “Se venisse qui con me, molti adolescenti si interesserebbero a questo argomento e verrebbero qui a vedere quel che è successo a me e a tanti altri, fra cui i tanti che non sono mai tornati dal viaggio verso l’orrore”.

Ma si, perché no? Ferragni è stata testimonial del Rinascimento grazie all’iniziativa del direttore degli Uffizi, impegnato a valorizzare le fertili ricadute della digitalizzazione dei beni culturali grazie a gite e visite virtuali, che fanno cassetta senza impegnare troppe risorse economiche e umane a dispetto di ogni teoria pedagogica e storica sulla fruizione dell’opera d’arte, a cominciare da quella dei valori tattili.

Ma anche di Luis Vuitton, del San Raffaele, impegnata con il consorte – che mette la faccia per Amazon Video, Samsung e Yamamay – nella raccolta fondi per la costruzione di un nuovo padiglione di terapia intensiva,  di Tod’s, oltre che patrocinatrice di Forti insieme, un progetto a sostegno delle donne imprenditrici, già beneficate dai fondi del Pnrr, a differenza delle modeste e indivisibili lavoratrici.


Si dice che sia seguita da quasi 25 milioni di followers su Instagram, che un  suo post, secondo il sito britannico di analisi e monitoraggio dei social media Hopper HQ, avrebbe un valore di 53 mila euro, quanto l’immagine della figlia valutata altrettanto   con cuffietta firmata da mammà,  che la sua presenza nel CdA di Tod’s abbia fatto crescere le azioni in borsa del gruppo del 10%.

Chi meglio di lei dunque potrebbe fare da motore a una campagna di mercato dal successo assicurato, che convinca i suoi target di riferimento, giovani aspiranti imprenditori di se stessi che sognano di imitarla una volta dismesse le illusorie prospettive di una startup in garage, ragazze che non hanno ripongono aspettative nelle abusate carriere di veline, letterine, igieniste dentali, a inserire nel curriculum la referenza di una sicura militanza antirazzista e antifascista certificata da punti qualità e acquisti equi e sostenibili?

Chi meglio di lei sarebbe abilitato a estrarre valore di merce da un fenomeno, un ideale, una vicenda  storica e culturale per trarne profitto anche grazie alla semplice circolazione tra gente ormai ridotta a dato da incamerare, vendere e rivendere?

Sarebbe opera giusta e buona stendere una prudente coltre di  silenzio sulle trovate moderniste di venerati maestri di vita che ritengono sia utile e vantaggioso ricorrere al peggio che ha prodotto la società dei consumi che fa di ogni tema, fenomeno, ideale, valore,  oggetti da esporre  sugli scaffali dello showbusiness a sostegno dei capisaldi che tengono in piedi l’impero occidentale, quello che fa interpretare la storia al guitto rendendolo degno dell’Oscar, che esibisce un altro saltimbanco filonazista nei panni del martire della libertà e dell’autodeterminazione di popoli  intento a sfilare su ogni red carpet.

Sarebbe bene ricordare alla senatrice Segre, quanti storici sono stati accusati di negazionismo o revisionismo per aver messo in guardia dal rischio che l’apocalisse che ha segnato il secolo breve diventasse un filone anche commerciale da sfruttare in favore dell’egemonia di un pensiero unico occupato a dimostrarne l’irripetibilità, come se livelli di benessere raggiunto, processo di acculturazione e informazione diffusa, scolarizzazione, ideologie dell’accoglienza e dell’integrazione bastassero a metterci al riparo dal pericolo che da dentro ognuno di noi possa schizzare fuori il demone della banalità del male, l’aguzzino indifferente alla facoltà di scelta tra bene e male, quando sa che l’obbedienza può salvarlo, premiare i suoi interessi e le sue miserabili aspettative, il Gaulaiter che legge Kant e ascolta Wagner e poi sbatte un neonato a sfracellarsi sul muro.

È evidente che ormai siamo tutti sotto una specie di coperchio ideologico che serve a giustificare l’ordine sociale esistente che deve essere interiorizzato e assimilato da chi subisce quel dominio, con tanto di figure mitologiche di riferimento.

È una falsa coscienza che hanno costruito per noi, che deve persuaderci che il fascismo è morto alla fine della guerra, battuto da chi oggi ne interpreta e sviluppa le nuove declinazioni in forma di imperialismo, sfruttamento, speculazione, campagne di aggressione predona, repressione, e che si è impadronita delle battaglie delle parole d’ordine dell’antagonismo, ecologismo, decrescita, critica al capitalismo crematistico finanziario, riscatto delle minoranze, antifascismo, ridotto fino a ieri alla critica di superficie alla paccottiglia nostalgica, oggi recuperata e legittimata grazie alla esaltazione del popolo resistente d’Ucraina stretto intorno al suo Pantheon neonazi.

Ed è quella che in nome di un concorso di manipolazione e manomissione della storia riserva eterna indulgenza a chi usa l’immane tragedia dell’Olocausto per perpetrare una politica coloniale e razzista, coprendo i crimini in nome del suo diritto all’autodifesa.

Ma nemmeno noi siamo senza macchia, se pensiamo a come reagisce un popolo di figli e nipoti di immigrati all’arrivo di disperati che cercano un rifugio. O se, peggio ancora, festeggiamo il 25 aprile con i vessilli della Nato che chiede ancora conto della sua missione di liberazione dall’invasore sfociata nella sua occupazione militare e politica.

Certo che dobbiamo rispetto ai superstiti della Shoà come a tutti suoi caduti, ma dobbiamo rispetto alla verità, alla storia, alla ragione proprio perché in tutto il mondo sono sempre accesi fuochi di violenza, persecuzione, sfruttamento, scatenati ogni giorno grazie alla capacità di dominio delle nostre vite e dei nostri pensieri di chi costruisce un nemico per scatenargli contro una guerra, nella quale saremo tra i primi a cadere.

Anna Lombroso

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