Di fronte a quel che accade nel Mondo, cosa possiamo fare NOI?

di Piero Cammerinesi

Correva l’anno – come si usa dire – 1973.  

Erano trascorsi due anni da quando avevo incontrato il Maestro, da quando Massimo Scaligero era entrato nella mia vita.  

Dell’incontro ho parlato in varie interviste e, più diffusamente, nel film che ho dedicato a lui: “OLTRE, un Tributo a Massimo Scaligero”. 

Ma forse ciò di cui non ho mai parlato è quanto era avvenuto prima e quanto avvenne un paio d’anni dopo quell’incontro. 

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Nei due anni precedenti, pur essendo giovanissimo, avevo cercato disperatamente un riferimento spirituale, dato che una serie di eventi nella mia vita personale mi avevano fatto toccare con mano l’esistenza di un mondo sovrasensibile che comprendevo essere, in qualche modo, la matrice del mondo esteriore. 

 Questa ricerca si era espressa in molti modi, sia attraverso lo yoga e lo zen, che utilizzando sostanze psicotrope o cercando, in sedute spiritiche e presso sedicenti maestri orientali, un indizio chiaro della direzione da intraprendere.  

Per qualche tempo avevo seguito Jiddu Krishnamurti, negli anni in cui usava tenere conferenze a Roma al Pasquino o in un albergo di via Cavour. Personalità sicuramente affascinante, ma che non mi aveva convinto fino in fondo.

Mi trovavo, di fatto, in un vicolo cieco.  

L’estate precedente l’incontro con Massimo – che avvenne il 12 aprile del 1971 – mi risolsi a cercare attivamente il Maestro e partii senza indugi da solo in autostop, con poche lire in tasca, verso oriente. Fu un’esperienza davvero molto forte e decisamente molto rischiosa, anche se allora erano tempi in cui si poteva viaggiare in autostop senza grossi pericoli.  

Tuttavia, alcuni segnali mi convinsero che non avrei trovato nulla nella direzione in cui stavo cercando; a Istanbul, in quell’estate del 1970, scoppiò il colera e dovetti fuggire di gran carriera dalla Turchia poche ore prima che la frontiera con la Grecia venisse chiusa. Senza parlare dei particolarissimi incontri ma, soprattutto, dei rischi del cammino che, da soli, sarebbero più che sufficienti per scrivere un racconto di avventure. 

Tornai a Roma, dopo un mese, con un amuleto particolare che avevo trovato e che in qualche modo mi rassicurava che a breve qualcosa sarebbe accaduto, che avrei trovato quel che cercavo. 

 Fu durante l’occupazione del mio liceo, il J.F.Kennedy, a Monteverde, che un amico mi parlò di un personaggio “strano” – così lo definì – che avevo lo studio in una mansarda a Monteverde Vecchio.  

In quel momento, in quella notte di novembre, nel liceo occupato davanti a un fuoco scoppiettante, mi resi conto improvvisamente di due cose. 

La prima era che tutto quello che cercavamo noi della generazione delle rivolte, delle proteste politiche, della contestazione, era riducibile ad una richiesta d’amore. Nel ’68 e dintorni credevamo di fare politica, cercavamo una soluzione politica alle incongruità dell’epoca ma, in profondità, cercavamo amore. Nel nostro riunirci, nell’incontrarci anche nelle assemblee politiche più dure, cercavamo il contatto con gli altri, cercavamo l’amore degli altri.  

Questa fu la prima cosa di cui mi resi conto con un lampo di consapevolezza la cui nitidezza non avevo mai sperimentato prima.  

Quello che vedevamo esteriormente era illusione.

O, come dicono gli orientali, Maya.  

La seconda cosa che compresi è che quegli aiuti esteriori che avevo utilizzato – come l’assunzione di sostanze psicoattive o le sedute spiritiche o altro – non offrivano nessun reale accesso al piano di realtà che stavo cercando. 

Ricordo che ero tornato in Turchia – questa volta non da solo ma con due amici e non in autostop, ma in aereo – e nella notte di Capodanno del 1971 mi impegnai interiormente a non utilizzare più vie tortuose per trovare ciò che cercavo.  

E fu allora che effettivamente ebbe luogo l’incontro con il Maestro.  

Neanche quattro mesi da quel momento l’incontro fu determinante, fu un riconoscimento immediato e folgorante.  

Questo per il prima.  

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Quanto al dopo devo aggiungere un ulteriore punto di svolta. 

Erano passati circa due anni – nel corso dei quali gli incontri personali privati con Massimo si succedevano settimanalmente rappresentando un dono, un’esperienza di profondità e di felicità indescrivibili – che egli un giorno mi chiese di creare un gruppo di miei coetanei con cui avviare un lavoro spirituale. 

Aggiunse che il gruppo avrebbe dovuto dedicarsi allo studio del libro di Rudolf Steiner, Filosofia della Libertà. Questa era l’opera di Steiner che lui considerava fondamentale e che doveva essere fatta conoscere al mondo.

Inizialmente mi schermii, chiedendogli se scherzasse perché, non ancora ventenne – pur essendomi iscritto alla facoltà di Filosofia all’Università – non mi sentivo assolutamente in grado di fare una cosa del genere.  

Mi sorrise con il suo sguardo amorevole e indicibilmente profondo ed affermò:  

“Non ti preoccupare, le forze ti arriveranno”.  

Fu così che iniziai un impegno settimanale di studio con gli amici di allora che, come me, dietro le parvenze della politica e della rivolta sociale intravedevano la necessità di una crescita interiore per capire il mondo. 

Da allora sono trascorsi oltre cinquant’anni e non ho mai smesso – alternandola ovviamente con altri testi – di lavorare su Filosofia della Libertà.  

Considero quest’opera la base di partenza per ogni seria esplorazione della dimensione spirituale.  

Si tratta di un’opera vivente, che muta nel tempo, parlandoci con accenti diversi a seconda del nostro stato evolutivo del momento. 

Come ben sappiamo per esperienza, infatti, un libro che leggiamo a vent’anni non è lo stesso che incontriamo nuovamente a quaranta o, ancora, a sessanta.  

Alcuni libri crescono con noi o, meglio, hanno, per così dire, una verità a lento rilascio.  

Come sottolineava Platone, ogni uomo può ricordare solo la verità che è già dentro di lui, in quanto ognuno ha contemplato, prima di nascere, il mondo delle idee. Ecco perché non riconosciamo come verità se non quella che abbiamo già dentro di noi.  

E questo spiega molto bene come sia difficile convincere persone che non vogliono riconoscere neppure le verità più evidenti se i loro preconcetti glielo impediscono.  

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Così, nel corso dei decenni, questo libro è diventato, come direbbe Nietzsche, “carne e sangue” trasformandosi in una sorta di strumento operativo per affrontare la vita. 

In realtà, nei vari gruppi e circoli nei quali ho avuto il piacere e il privilegio di affrontare questo testo, una delle domande ricorrenti è sempre stata:  

“Ma come posso IO mettere in pratica i contenuti di Filosofia della Libertà?” 

Ed è di grande importanza che sorga nell’animo una domanda di questo genere, in quanto proprio nelle intenzioni dell’Autore, di Rudolf Steiner, l’aspetto operativo di quest’opera è stato sempre al primo posto.  

Filosofia della Libertà è strutturata in modo da distinguersi completamente da tutti gli altri libri filosofici del presente, che con il loro contenuto mirano più o meno a dire qualcosa su come il mondo appare o dovrebbe apparire secondo le rappresentazioni dell’autore.  

Non è questa la meta ultima del mio libro, bensì quella di sottoporre ad una specie di allenamento di pensiero chi si affiderà ai pensieri ivi contenuti, così che la modalità di pensiero, quella particolare modalità con cui ci si affida a questi pensieri sia tale da mettere in movimento le sensazioni e i sentimenti dell’anima, così come nella ginnastica, se è lecito il paragone, si mettono in movimento gli arti del nostro corpo.  

Ciò che altrimenti è soltanto mezzo di conoscenza, in questo libro diventa al contempo mezzo di autoeducazione animico-spirituale (Rudolf Steiner, Risposte della scienza dello spirito alle grandi problematiche dell’esistenza O.O.60).
 

Mezzo di autoeducazione animico-spirituale, la definisce l’Autore dell’opera. 

Qualcosa da utilizzare sia per orientarsi nel mondo esteriore che per procedere nel cammino verso i mondi superiori. 

Uno strumento che possa rappresentare una sorta di bussola utilizzabile in ogni ambito della nostra della nostra vita.  

Ma come? 

Ebbene, se tre sono i pilastri di Filosofia della Libertà: certezza del conoscere, ambito della nostra libertà e azione morale, noi possiamo sottoporre a questo procedimento conoscitivo-attivo qualsiasi evento del mondo esteriore.  

Pensiamo ad esempio alla situazione drammatica, cui oggi ci troviamo di fronte, di un mondo che sta correndo, apparentemente senza freni, verso una guerra catastrofica. 

Un mondo che sta mostrando una disumanizzazione crescente nei rapporti tra istituzioni e popolazioni e dove il trionfo della menzogna a livello globale è la regola della narrazione dei fatti. 

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Se non siamo insensibili e patologicamente egoisti ci chiederemo allora:

“Cosa possiamo fare noi?”  

Se rispondiamo “nulla” restiamo meri spettatori inconsapevoli del significato degli eventi e della nostra stessa vita. 

Se, invece, pur sentendo l’impulso morale ad agire, non conosciamo a fondo la realtà, rischiamo, nella migliore delle ipotesi, di fare qualcosa di inutile e, nella peggiore, di commettere degli errori grossolani.

Che fare dunque?  

Proviamo allora a utilizzare il metodo di Filosofia della Libertà. 

1) Certezza del conoscere.

Steiner si chiede anzitutto se esista, nell’attività dell’uomo, una base certa nella conoscenza. Nel corso dell’opera arriverà ad individuare nel pensare questa base certa. Quanto più il nostro pensare sarà indipendente dai nostri sensi e dalla nostra istintività tanto più sarà libero e ci consentirà di comprendere meglio noi stessi ed il mondo.

“…nel pensare e per mezzo del pensare deve venir conosciuto ciò a cui l’uomo sembra rendersi cieco, quando frappone la vita delle rappresentazioni fra il mondo e sé (Rudolf Steiner, Filosofia della Libertà, Capitolo V).

L’obiettivo è quello di condurre, grazie ad un approccio filosofico, all’esperienza del pensiero libero dai sensi mediante osservazione animica. 

Ora proviamo ad applicare questo anche alla conoscenza degli eventi intorno a noi.

Cosa vuol dire? Semplice: se voglio conoscere realmente una situazione, ad esempio le radici della guerra in Ucraina o degli orrori in Palestina, devo studiare a fondo la storia con un pensiero che sia libero dalle mie convinzioni istintive e dai miei pregiudizi. Non mi devo limitare, inoltre, a quelle che possono essere narrazioni di parte, ma devo cercare, per quanto possibile, di giungere alla radice dei fatti, alle matrici degli eventi esteriori.  

E non è vero che bisogna essere necessariamente degli esperti o degli storici in quanto – e Rudolf Steiner ce lo sottolinea ripetutamente nell’opera citata – noi tutti siamo in grado di cogliere un elemento, per quanto limitato, di verità.  

2) Ambito di libertà.

Solo quando ci saremo fatti un’idea abbastanza precisa di ciò che può spiegare gli avvenimenti che ci scorrono davanti, del tutto liberi nelle nostre rappresentazioni da ogni narrazione imposta, potremo scegliere una interpretazione o un’altra in quanto ce la saremo conquistata attraverso una modalità certa del nostro conoscere.  

La libertà è impossibile se qualcosa al di fuori di me (un processo meccanico, oppure un Dio posto fuori del mondo e frutto di una pura illazione) determina le mie rappresentazioni morali. Io sono dunque libero solamente quando produco io stesso queste rappresentazioni, e non quando posso semplicemente dare esecuzione ai motivi che un altro essere ha posti in me. Un essere libero è quello che può volere ciò che egli stesso ritiene giusto (Rudolf Steiner, Filosofia della Libertà, Capitolo XII).

Se, infatti, le nostre rappresentazioni sono influenzate dalla narrazione del mainstream media o anche da quella della cosiddetta contro-informazione (che sovente presenta i medesimi bias), la nostra mancanza di autonomia conoscitiva non ci consente di essere liberi. 

Dobbiamo mettere in pratica, dunque, un pensiero davvero autonomo.  

“È stato necessario scrivere, nell’anno 1893, questo libro sulla Filosofia della Libertà. Questo libro non è tanto importante per quel che vi è contenuto; ovviamente quanto in esso è contenuto lo si voleva già allora comunicare al mondo, ma non è questa la cosa più importante; ben più importante è che in questo libro per la prima volta vi è un pensare del tutto autonomo! Nessuno può comprendere il libro se non pensa autonomamente 

Ci si deve abituare fin dall’inizio, pagina dopo pagina, a ritirarsi entro il proprio corpo eterico, per poter avere in genere pensieri simili a quelli che sono nel libro. Questo libro è pertanto un mezzo educativo e come tale va considerato” (Rudolf Steiner, Come si giunge alla visione del mondo spirituale, O.O.350) 

Pertanto, riprendendo il nostro discorso, se attraverso lo studio, l’approfondimento, il confronto, la riflessione, nonché la nostra intuizione interiore, giungiamo a farci una raffigurazione credibile degli eventi geopolitici, a quel punto non siamo più determinati dall’esterno – visione politica, narrazione ufficiale, razza, popolo, credo religioso – ma siamo liberi di comprendere ed agire nei confronti di ciò che ci circonda.  

È naturale sentire la necessità di fare qualcosa, quando ci troviamo di fronte alla sopraffazione, all’orrore ed alla disumanità di quanto sta accadendo nel mondo.  

Se siamo esseri minimamente morali sentiamo di far fatica a subire soltanto quanto ci si squaderna davanti.  

Ma solo se conosciamo la strada, possiamo scegliere di andare a destra o a sinistra per dare il nostro contributo al fluire della storia del mondo, vale a dire solo se siamo liberi da ogni costrizione esteriore.  

3) Azione morale.

Ecco allora che la libertà che ci siamo conquistati ci permette di scegliere la nostra azione, azione che è azione morale – fantasia morale la chiama Rudolf Steiner – che può esprimersi nel nostro attivarci all’interno della nostra sfera d’intervento.  

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Possiamo per esempio condividere quanto abbiamo intuito con altre persone, possiamo scriverne, possiamo agire magari tramite dimostrazioni o petizioni o contributi alle popolazioni sofferenti e così via, ma è solo grazie a questa triade certezza del conoscere-libertà conquistata-moralità nell’agire che possiamo sviluppare la nostra azione morale nel mondo.  

Solamente quando seguo il mio amore per l’oggetto sono io stesso che agisco. Su questo gradino della moralità io non riconosco alcun signore al di sopra di me, non l’autorità esterna, non una cosiddetta voce interiore.  

Non riconosco alcun principio esterno del mio agire perché ho trovato in me stesso la causa dell’azione, l’amore per l’azione. Non esamino razionalmente se la mia azione sia buona o cattiva: la compio perché l’amo. Essa sarà «buona» se la mia intuizione immersa nell’amore si trova situata nel giusto modo entro il connesso mondiale da sperimentarsi intuitivamente; nel caso contrario sarà «cattiva». E neppure mi domando come agirebbe un altro uomo nel mio caso, ma agisco come io, quale particolare individualità, mi vedo spinto a volere. Non l’uso comune, non il costume generale, non una massima umana generale, e nemmeno una norma morale mi guida in modo immediato, ma il mio amore per quell’azione. Non sento alcuna costrizione: non la costrizione della natura, che mi guida nei suoi impulsi, non la costrizione del comandamento morale. Io voglio semplicemente estrinsecare quello che è in me (Rudolf Steiner, Filosofia della Libertà, Capitolo IX). 

 Questo ovviamente vale per ogni ambito della nostra esistenza, non solo quello degli eventi geopolitici – cui pur dobbiamo prestare attenzione, essendovi noi comunque coinvolti karmicamente – ma anche l’ambito personale. 

Pensiamo, ad esempio, a quando persone che fanno parte della nostra vita e del nostro destino soffrono o commettono errori a proposito dei quali vorremmo aiutarli.  

Anche in questo caso, il procedimento è il medesimo. Non partire dal sentire, dal volemose bene, dal voler aiutare a tutti i costi, ma dalla certezza del conoscere, vale a dire dalla comprensione attraverso la conoscenza dei fatti e dall’intuizione interiore, di quali siano le criticità o le problematicità della singola persona nei confronti del suo interagire con gli altri e con il destino.  

Nel momento in cui abbiamo raggiunto una comprensione di questi elementi, allora possiamo trovare l’ambito di libertà da cui muovere verso una eventuale presa di posizione che può essere verbale o anche di comportamento nei confronti dell’altro, al fine di aiutarlo consapevolmente.  

Solo a partire da questa libertà, che ci conquistiamo attraverso la conoscenza, possiamo augurarci di attuare un’azione morale corretta e realmente efficace per l’altra persona.  

Come si vede attraverso questo procedimento è possibile trasformare radicalmente la nostra relazione con la vita del pensare, del sentire e dell’agire. 

Vivere nell’amore per l’azione e lasciar vivere nella comprensione della volontà altrui è la massima fondamentale degli uomini liberi (Rudolf Steiner, Filosofia della Libertà, Capitolo IX). 

 

Nell’immagine di copertina: Nicholas Roerich, il giorno dei maestri spirituali dell’umanità 

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