di Piero Cammerinesi
Coloro che non ricordano il passato sono condannati a ripeterlo George Santayana
Chi ha una certa frequentazione della storia del secolo scorso avrà certamente percepito un campanello d’allarme quando si è diffusa la notizia della deportazione coatta della popolazione palestinese fuori da Gaza. Perché chi si è occupato della Shoah dovrebbe pur ricordare che l’ultimo tentativo da parte dei nazisti di risolvere la cosiddetta “questione ebraica” prima di passare alla sistematica deportazione e liquidazione degli ebrei, fu proprio il Piano Madagascar che prevedeva la loro deportazione nell’isola africana.
Ma quello che francamente rimane decisamente incomprensibile è che i responsabili di questo folle e terrificante Piano Gaza Riviera possano non conoscere – o ignorare volutamente – un precedente storico tragicamente assimilabile a questo.
Un vero e proprio elefante nel salotto.
Pur non nutrendo una soverchia considerazione della cultura storica e della moralità del presidente USA Donald J. Trump, non possiamo ignorare che egli è circondato da consiglieri gentili ed ebrei ben istruiti, ben informati e ben posizionati, come l’inviato speciale in Medio Oriente Steve Witkoff, il vice capo di gabinetto della Casa Bianca Stephen Miller, Howard Lutnick e il genero e consigliere Jared Kushner, solo per citarne alcuni.
Il Piano Madagascar
Come possono queste persone. – che purtroppo hanno in mano le leve del potere – ignorare l’eclatante parallelo storico tra gli obiettivi politici nei confronti dei palestinesi e il tristemente noto Piano Madagascar della Germania nazista per gli ebrei.
Di che si trattava?

Ebbene, prima che venisse attuata la “soluzione finale” per gli ebrei in Germania e nei territori occupati, nel giugno 1940, dopo il crollo della Francia, fu elaborato un piano per deportarli in Madagascar, allora colonia francese.
Si iniziò a calcolare quante navi sarebbero state necessarie e in quanto tempo per deportare gli oltre tre milioni di ebrei che erano nelle mani di Hitler, e si indagò se le organizzazioni ebraiche americane avrebbero contribuito a finanziare l’esodo. Gli sviluppi bellici successivi, con i primi rovesci per le armate tedesche, resero sempre meno praticabile il trasporto, così, che nel 1941, si studiò la possibilità di deportarli – dopo la auspicata vittoria sull’Unione Sovietica – in Siberia a nord del Circolo Polare Artico.
Ma Stalin fermò l’invasione tedesca ed il Madagascar tornò a rappresentare una opzione anche perché era sempre stata la destinazione per gli ebrei favorita dagli antisemiti europei dalla fine del XIX secolo.
Un piano simile era stato approvato nel 1937 dal principe Janusz Franciszek Radziwill, leader del Partito Conservatore Polacco, che aveva convinto il governo polacco ad inviare una delegazione in Madagascar per “esplorare la possibilità di inviarvi gli ebrei”.
Perché non la Palestina?
Va comunque sottolineato che il piano era stato concepito per il dopoguerra, che naturalmente si prevedeva vittorioso. Il prolungamento e l’ampliamento del conflitto ritardarono il “dopoguerra”, e spinsero a trovare soluzioni durante la guerra. Importante notare che il Madagascar aveva un vantaggio sulla Palestina come soluzione territoriale alternativa agli occhi dei sostenitori dell’esclusione degli ebrei dall’Europa. Il governo polacco considerava il Madagascar “supplementare” alla Palestina, mentre nel Terzo Reich era considerato un’alternativa alla Palestina.
Nelle frange antisemite delle popolazioni europee – non c’era antisemitismo solo in Germania – già nel 1937 si temeva che la Palestina potesse diventare un “centro di potere ebraico” oltre al fatto che si riteneva avesse un territorio troppo esiguo per “accogliere 15 milioni di ebrei”.
Sempre nel 1937 il più importante quotidiano ebraico tedesco, il C.V. Zeitung, propose di pensare alla Transgiordania e alla Siria come alternativa al Madagascar per l’insediamento ebraico.
Un anno dopo, nel 1938, anche il giornale nazionalsocialista Der Stürmer appoggiò il piano Madagascar.
Come si è detto, la “questione ebraica”, ovvero la questione se gli ebrei potessero integrarsi nella società nel suo insieme e, in caso contrario, cosa si dovesse fare di loro, era un argomento di discussione di primo piano, non solo in Germania ma nell’intera Europa.
Così il Piano Madagascar fu l’ultimo tentativo serio, anche se decisamente di difficile realizzazione, di risolvere la “questione ebraica” in modo non genocida.
Opportuno aggiungere che il progetto di un reinsediamento di massa degli ebrei in Madagascar, o in un altro territorio coloniale africano, attirava persone con ideologie molto diverse; non solo gli antisemiti e gli imperialisti liberali, ma anche alcuni “territorialisti” ebrei anti-sionisti che ritenevano che qualsiasi Stato ebraico dovesse essere istituito al di fuori della terra di Israele.
Ma non ci fu solo il “Piano Madagascar”; nel 1939, Adolf Eichmann – definito dai suoi l’“esperto di ebrei” – elaborò il più modesto “Piano Nisko” per creare una “riserva ebraica” a Lublino, nella Polonia occupata, dove gli ebrei polacchi, cechi e austriaci potessero vivere in una sorta di precarietà permanente e apolide, non dissimile dalle riserve create per i nativi americani alla fine del XIX secolo negli Stati Uniti.

Come si vede anche qui, qualcosa di assolutamente analogo all’attuale progetto di deportazione dei palestinesi di Gaza.
Ma il Piano Nisko si rivelò irrealizzabile ed Eichmann insieme a Franz Rademacher, capo del cosiddetto “Ufficio ebraico” del Ministero degli Esteri, ripresero l’idea del Madagascar.
Era evidente che l’antisemitismo in quanto tale (non solo sotto i nazisti) aveva come obiettivo quello di “segregare” gli ebrei; inizialmente sembravano la migrazione e l’espulsione, non l’omicidio di massa, i modi appropriati per “rimuovere” gli ebrei dalla società. Ma con l’aumento vertiginoso del numero di “ebrei da rimuovere” e con la guerra che eliminò ogni residuo di inibizione morale, l’omicidio di massa poté facilmente essere spersonalizzato.
Non che una attuazione riuscita del Piano Madagascar avrebbe portato a risultati molto diversi – come vediamo oggi a Gaza e come vedremmo se si dovesse proseguire nel piano di deportazione – vale a dire non al reinsediamento, dall’omicidio di massa.
Va inoltre aggiunto che dall’analisi dei documenti emerge chiaramente che molte persone di diversi Paesi avevano lavorato su questo tema, a partire da Paul de Lagarde nel 1885, e che persino dopo la seconda guerra mondiale l’idea di un insediamento ebraico in Madagascar non era stata del tutto abbandonata.
Scrive Peter Hayes nel suo Why? Explaining the Holocaust [Perché? Spiegando l’olocausto”]
L’anno successivo il ministro degli Esteri polacco discusse l’idea con il suo omologo francese e cercò di affittare circa un milione di acri di terra sull’isola per sostenere l’emigrazione di 30.000 famiglie ebree all’anno nei cinque anni successivi, per un totale di 500.000-600.000 persone. Poco dopo, l’ambasciatore polacco negli Stati Uniti avviò trattative con un gruppo di ricchi ebrei americani per l’acquisto della colonia portoghese dell’Angola come “patria ebraica supplementare”.
Ora ci si potrà inventare qualsiasi obiezione su questo parallelo storico ma la realtà è ben chiara: gli obiettivi alla base del Piano Madagascar e del Piano Trump-Netanyahu Gaza-Riviera sono gli stessi: la pulizia etnica.
Allo stesso modo dei piani nazisti di deportazione, l’inqualificabile piano di Trump e Netanyahu di trasformare Gaza, oggi trasformata in un campo di sterminio, in una “riviera” deportando altrove i palestinesi, denuncia una spietata violenza di massa e pulizia etnica.
La Storia ci ha insegnato come piani di “reinsediamento” simili a questo messi in atto dalle potenze coloniali tra il 1850 e il 1950 abbiano portato al massacro di popolazioni indigene in tutta l’Europa occupata dai nazisti, tra i nativi del Nordamerica, in Africa e in Asia.

Ciò che Trump ignora nella sua abissale ignoranza storica e morale è che le deportazioni di massa effettuate dai nazisti, vennero definite dalla Convenzione di Ginevra nel 1949 “crimini di guerra” trattandosi di “sfollamento forzato o coatto di una popolazione sotto occupazione militare”. Stessa conclusione per le Nazioni Unite: “qualsiasi sfollamento forzato di persone equivarrebbe a una pulizia etnica”.
Francesca Albanese, relatrice speciale delle Nazioni Unite sui territori palestinesi occupati, ha definito la proposta di Trump “illegale, immorale e completamente irresponsabile”.
“È un incitamento allo sfollamento forzato, che è un crimine internazionale”

Ciò che rende il piano di Trump ancora più preoccupante è che fa eco alle richieste avanzate da tempo da molti politici israeliani di estrema destra e sembra godere di un ampio sostegno da parte dell’opinione pubblica israeliana (70%).
Il primo ministro Benjamin Netanyahu ha pubblicamente celebrato i piani di reinsediamento di Trump e il suo ministro della Difesa, Israel Katz, ha ordinato all’IDF di avviare i preparativi per l’attuazione del piano.
Nella misura in cui lo sforzo di privare i gazawi della loro terra e della loro sovranità “reinsediandoli” altrove è stato concepito come una sorta di soluzione del XXI secolo alla “questione palestinese”, esso emerge dalla stessa tradizione storica del Piano Madagascar.
Riconoscere questa eredità storica potrebbe aiutare tutte le parti, compresa l’amministrazione Trump, ad abbandonare tali progetti e a impegnarsi nuovamente nella creazione di uno Stato palestinese sovrano, che includa Gaza e la Cisgiordania.

Invece, a quanto pare, la direzione intrapresa ricalca esattamente quanto si è detto prima a proposito del Piano Madagascar et similia. Infatti Stati Uniti ed Israele stanno portando avanti trattative con funzionari del Sudan, della Somalia e della regione separatista del Somaliland per trasferire forzosamente i gazawi in quei territori in quei Paesi. Tali colloqui sono stati riportati per la prima volta dall’Associated Press (AP) venerdì scorso e confermati in un articolo del Financial Times.
L’AP ha riferito:
Due funzionari sudanesi, che hanno parlato in condizione di anonimato per discutere una delicata questione diplomatica, hanno confermato che l’amministrazione Trump ha contattato il governo guidato dai militari per discutere dell’accoglienza dei palestinesi. Uno di loro ha detto che i contatti sono iniziati ancora prima dell’insediamento di Trump con offerte di assistenza militare.
Dove dovrebbero essere deportati dunque i gazawi?
In Paesi in condizioni già drammatiche. La Somalia ha una situazione di povertà diffusa, insicurezza alimentare e mancanza di accesso all’assistenza sanitaria e all’istruzione, mentre il Sudan ha vissuto decenni di guerra civile, massacri etnici, violenze sessuali e deportazioni di massa che hanno colpito milioni di persone.
L’AP riferisce che
i contatti con il Sudan, la Somalia e la regione separatista della Somalia nota come Somaliland riflettono la determinazione degli Stati Uniti e di Israele a portare avanti il piano di Trump per la pulizia etnica di Gaza.
Un piano per la pulizia etnica e l’annessione di Gaza agli Stati Uniti che Trump aveva già candidamente annunciato l’11 febbraio:
Gaza sarà nostra. Non dobbiamo comprarla. Non c’è niente da comprare. Gaza sarà nostra… La prenderemo
Cosa accadrà?
Sono in molti a chiederselo ma aumenta sempre più la schiera di coloro che si stanno mobilitando per impedire questo orrore umanitario e crimine storico.
Come si è accennato il piano di Trump-Netanyahu viola il trattato delle Nazioni Unite del 1970, peraltro ratificato dagli Stati Uniti, che stabilisce che
il territorio di uno Stato non può essere oggetto di acquisizione da parte di un altro Stato a seguito della minaccia o dell’uso della forza.
Michele Zaccheo, portavoce delle Nazioni Unite a Ginevra, ad esempio, ha commentato:
Qualsiasi piano che possa portare o porti allo sfollamento forzato di persone o a qualsiasi tipo di pulizia etnica è qualcosa a cui ovviamente ci opporremmo, in quanto contrario al diritto internazionale.
Intanto il Piano va avanti; il ministro delle Finanze israeliano Smotrich ha dichiarato che il governo sta creando un’amministrazione per la migrazione – udite udite! – “volontaria” dei palestinesi dalla Striscia di Gaza.
Stiamo istituendo un’amministrazione per la migrazione, ci stiamo preparando sotto la guida del primo ministro e del ministro della Difesa. Se ne trasferiamo 5.000 al giorno, ci vorrà un anno. La logistica è complessa perché è necessario sapere chi va in quale paese. È un potente cambiamento storico.
Dunque secondo Smotrich la migrazione sarebbe “volontaria” e la realizzazione del piano costituirebbe un “potente cambiamento storico”. La neolingua orwelliana ha raggiunto livelli inimmaginabili e la menzogna spacciata per verità è ormai il vangelo della nuova normalità.

Nel frattempo, in attesa di deportarli tutti, si cerca di sfoltire quotidianamente la popolazione di Gaza con il blocco quasi totale di cibo, acqua ed elettricità, con l’obiettivo di affamarla a morte e di costringerla quindi a trasferirsi a causa della carestia.
L’80% dei cittadini ha perso l’accesso alle fonti di cibo mentre il 90% della popolazione non ha acqua potabile.
Un quarto dei panifici rimasti a Gaza è stato costretto a chiudere a causa della carenza di forniture, e gli altri sono sul punto di chiudere.
Vi sono attualmente 150.000 persone che soffrono di malattie croniche o ferite di guerra con una grave carenza di forniture mediche.
Olga Cherevko, portavoce dell’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari (OCHA), ha dichiarato ad Al Jazeera:
C’è paura, allarme e preoccupazione per l’esaurimento delle scorte. La situazione idrica e igienico-sanitaria era già disastrosa, con la maggior parte delle strutture distrutte durante i mesi di combattimenti. Il taglio dell’elettricità a Gaza da parte di Israele riduce l’accesso all’acqua potabile a circa 600.000 persone.
Come si vede le prese di posizione di condanna si intensificano quotidianamente: giovedì scorso la Commissione internazionale indipendente d’inchiesta (COI) delle Nazioni Unite sui territori palestinesi occupati ha accusato per la prima volta Israele di atti di genocidio contro i diritti riproduttivi dei palestinesi.
La commissione ha dichiarato:
Le autorità israeliane hanno distrutto in parte la capacità riproduttiva dei palestinesi di Gaza come gruppo, anche imponendo misure volte a impedire le nascite, una delle categorie di atti genocidi previsti dallo Statuto di Roma e dalla Convenzione sul genocidio.
Il rapporto spiega:
Le strutture sanitarie sessuali e riproduttive sono state sistematicamente distrutte in tutta Gaza, compresi gli ospedali maternità e i reparti maternità degli ospedali e la principale clinica di fertilità in vitro di Gaza.
Di fronte a tutto questo – che a volte si fa persino fatica a credere vero tanto è il suo diabolico terrificante orrore – proviamo, per spregiudicatezza dialettica, ad ipotizzare che Trump fosse all’oscuro del Piano Madagascar, che abbia una conoscenza della storia comparabile con quella di un ragazzino della prima media e che i suoi consiglieri, non avessero avuto avuto l’occasione di informarlo prima dell’arrogante annuncio della sua “visione fuori dagli schemi” – come richiesto da Netanyahu – per Gaza.
Se questa ipotesi è poco credibile – ma proviamo per un momento a ritenere che il tycoon nella sua abissale ignoranza nulla fosse venuto a sapere di quanto avvenuto in Europa poco meno di un secolo fa – lo è del tutto se prendiamo in esame la conoscenza storica degli eventi della Shoah da parte di Netanyahu.

Esattamente come il Piano Madagascar voleva liberarsi degli ebrei in Europa per deportarsi altrove, il piano Trump/Netanyahu vuole liberarsi dei palestinesi di Gaza – e prossimamente di quelli in Cisgiordania – mascherando la pulizia etnica come una missione umanitaria con l’impudente giustificazione di alleviare le sofferenze dei palestinesi di Gaza se dovessero rimanere.
Ed esattamente com il Piano Madagascar, il piano Trump-Netanyahu Madagascar/Riviera è tanto ingannevole quanto illegale ed è destinato a fallire per il semplice motivo che Israele non possiede Gaza e quindi non può darla a Trump per il suo progetto di trasformare la Striscia di Gaza in una Riviera mediorientale per i ricchi.
Anche se i palestinesi fossero espulsi da Gaza pensate che rinuncerebbero mai alle loro aspirazioni di una patria sovrana e indipendente dove hanno vissuto loro e i loro antenati?
Certamente no ed una tale criminale deportazione aumenterebbe esponenzialmente lo stato di minaccia costante che afferra e soffoca la nazione israeliana.
Senza contare il rischio di commettere un genocidio, come conseguenza inevitabile di un trasferimento coatto pianificato.
Quale potrebbe essere la soluzione?
L’unica soluzione razionale per fermare la guerra e riportare Israele dall’orlo della pulizia etnica e del genocidio è quella di dare ascolto alle parole profetiche di Ami Ayalon, ex capo dello Shin Bet (l’agenzia di sicurezza interna israeliana) ed ex comandante della Marina israeliana con vari ruoli governativi:
L’unico modo per sconfiggere Hamas è quello di creare un orizzonte politico per il popolo palestinese.
Ami Ayalon dimostra che la guerra non porterà la sicurezza a Israele, ma piuttosto porterà altra guerra, seguita da altra guerra, seguita da altra guerra, all’infinito. Un orizzonte politico per i palestinesi significa una patria, uno Stato sovrano fondato sui principi della democrazia liberale. Non è facile, ma non è impossibile. Purtroppo, questo non è all’orizzonte per Netanyahu e per i membri di estrema destra del suo governo e i suoi sostenitori che sostengono l’estinzione dei palestinesi dalla Palestina, per quanto frammentata, occupata, disfunzionale o inoccupabile possa essere.
Il primo passo è quello di abbandonare la follia di questo disumano progetto che emula il Piano Madagascar offrendo ai palestinesi un orizzonte politico autentico, praticabile e realizzabile: uno Stato proprio.
Dovrebbe essere evidente a chiunque sia ancora in grado di avere un pensiero sano che qualsiasi azione che cerchi di rimuovere con la forza o di deportare i palestinesi da Gaza o dalla Cisgiordania non è solo moralmente indifendibile, ma è anche una ricetta per un conflitto e un’instabilità senza fine.
La storia ha ripetutamente dimostrato che i tentativi di pulizia etnica, non importa come siano mascherati o razionalizzati, causano danni duraturi a tutte le parti coinvolte.
Una autentica sicurezza e una convivenza pacifica per israeliani e palestinesi possono emergere solo dal riconoscimento reciproco dell’umanità – considerare l’altro una animale o un essere inferiore è sempre stato alla base di ogni guerra – e dei diritti dell’altro e dal perseguimento di una soluzione politica autentica che rispetti le aspirazioni di entrambi i popoli.
Uno sguardo all’aspetto esoterico
In un mio precedente intervento mi sono occupato della questione palestinese analizzando i retroscena occulti delle due popolazioni il cui odio reciproco sta oggi avvelenando il mondo.
Avevo riportato una illuminante affermazione di Rudolf Steiner sul razzismo del popolo ebraico.
L’ebraismo ha questo aspetto: tutto ciò che è con gli ebrei assume un carattere personale. Le persone devono invece arrivare a vedere lo spirituale nell’altra persona. Oggi tutto ciò che è ebraico è ancora dominato dalla razza. Di regola si sposano prevalentemente tra loro; quindi vedono ancora l’aspetto razziale, non quello spirituale. Ecco cosa bisognerebbe dire in risposta alla domanda: “il popolo ebraico ha compiuto la sua missione nello sviluppo della conoscenza umana?” “Sì l’ha compiuta, perché un tempo doveva esserci un unico popolo che portava a un determinato monoteismo. Oggi, invece, [la missione] deve essere la conoscenza spirituale stessa. Quindi questa missione è stata compiuta. E questa missione ebraica in quanto tale, come missione ebraica, non è più necessaria nell’evoluzione, e l’unica cosa giusta è che gli ebrei si fondano con gli altri popoli mescolandosi con loro” (Rudolf Steiner, La storia dell’umanità e le concezioni del mondo dei popoli civili, XI conferenza, 8 Maggio 1924).

“Fondersi con altri popoli” sarebbe dunque, secondo Steiner, la scelta giusta e consona ai tempi attuali mentre, come si vede, gli obiettivi perseguiti sono diametralmente opposti ancora oggi: dar vita ad uno Stato abitato esclusivamente da ebrei dove vige una apartheid rigida e intollerante.
E questo era stato anticipato da Steiner oltre un secolo fa in riferimento al movimento sionista, che già allora iniziava a reclutare membri nel mondo:
Ho trovato discutibile fin dall’inizio che gli ebrei, quando non sapevano cosa fare, abbiano fondato il movimento sionista. Creare uno Stato ebraico significa reagire nel modo più desolato, tornare alla reazione nel modo più desolato, e quindi andare contro tutto ciò che oggi è necessario in questo campo. Vedete, un sionista molto rispettato, con cui ero amico, una volta mi spiegò il suo sogno di andare in Palestina e fondarvi un regno ebraico. Lui stesso era molto coinvolto nella fondazione di questo impero ebraico, ne è ancora coinvolto oggi e ha anche una posizione molto rispettata in Palestina. Gli ho detto: “Una cosa del genere non è affatto in linea con i tempi di oggi, perché ciò che è in linea con i tempi di oggi è ciò a cui ogni persona può aderire, senza distinzione di razza, popolo, classe e così via. Questa è l’unica cosa che si può diffondere oggi, che tutti possono aderire senza distinzioni. Nessuno può pretendere che io aderisca al movimento sionista! In questo modo si esclude una parte dell’umanità intera! – Per questa semplice e ovvia ragione, un movimento del genere non può funzionare oggi. È fondamentalmente la reazione più selvaggia”. Naturalmente, queste persone rispondono in modo strano: “Sì, nel corso del tempo si è scoperto che la gente non vuole nulla che somigli ad un’umanità in generale, ma chiede che tutto si sviluppi a partire dall’elemento popolare”. Questa conversazione che vi ho raccontato si è svolta prima della grande guerra del 1914-1918 (Rudolf Steiner, La storia dell’umanità e le concezioni del mondo dei popoli civili, XI conferenza, 8 Maggio 1924)..
Ma c’è dell’altro.
Rudolf Steiner affronta anche una questione molto delicata, vale a dire le conseguenze dell’odio che oppone, ma che al tempo stesso lega, un popolo ad un altro.
Le conseguenze dell’odio tra i popoli
Ebbene, il fondatore dell’Antroposofia sottolinea anzitutto come le relazioni tra i popoli, sia positive che negative, abbiano un impatto significativo sul loro sviluppo karmico.
L’odio, in particolare, è qualcosa che ha conseguenze rilevanti in quanto crea un legame karmico negativo tra i popoli coinvolti.
E cosa può provocare questo legame karmico negativo?

Addirittura il fatto che un popolo che nutre odio verso un altro popolo potrebbe, in una successiva incarnazione, voler reincarnarsi all’interno del popolo odiato.
Si tratterebbe di un processo karmico tendente all’apprendimento ed all’equilibrio, in quanto le esperienze negative fatte in una vita segnata dall’odio dovrebbero portare a una maggiore comprensione e crescita spirituale attraverso la successiva incarnazione all’interno del popolo odiato.
Si tratterebbe quindi di un’opportunità per imparare e crescere spiritualmente, superando gli schemi di pensiero e sentimento negativi.
E se ipotizzassimo, a questo punto, dato anche il ripetersi, come abbiamo visto, di sentimenti ed azioni analoghe, che i nazisti di allora si siano reincarnati negli israeliani di oggi?
Stessa concezione della propria eccezionalità e messianismo escatologico:
1.Pura razza ariana gli uni e popolo eletto gli altri.
2.Reich millenario gli uni, avvento di Mashiach, il Messia ebraico, gli altri.
3.Entrambi non considerano umano il popolo odiato.
4.Entrambi non provano la minima pietà o compassione neppure per donne e bambini (non considerandoli umani).
5.Entrambi vogliono deportare il popolo odiato fuori dai propri confini.
Ecco che alla luce di queste similitudini si può essere portati a ipotizzare che nella successiva incarnazione – nonostante le due incarnazioni siano assai vicine l’una all’altra – i nazisti che hanno nutrito un odio feroce nei confronti degli ebrei potrebbero trovarsi a vivere nel contesto del popolo ebraico, al fine di sperimentare le conseguenze del loro odio e di sviluppare empatia e comprensione.
Il che, tuttavia, non sembra proprio il caso oggi, visto che, se ciò fosse avvenuto, costoro, al contrario, sembrerebbero riprodurre esattamente gli stessi pattern messi in atto nella precedente incarnazione, causando così un ulteriore peggioramento karmico.
In tal caso l’obiettivo non sarebbe stato minimamente raggiunto, in quanto proprio il superamento dell’odio – essendo questo un ostacolo al progresso spirituale, – attraverso l’esperienza dell’incarnazione all’interno del popolo odiato sarebbe un passo fondamentale verso l’evoluzione dell’umanità, il cui karma collettivo conduce ad incarnazioni incrociate.
Ogni odio fra i popoli è al tempo stesso una lotta contro lo spirito. Proprio perché il nostro tempo tende talmente a lottare contro lo spirito, esso possiede anche tanto talento per l’odio fra i popoli. Questo è uno dei più profondi segreti della nostra attuale cultura spirituale (Rudolf Steiner, Impulsi evolutivi interiori dell’umanità, O.O. 171).
Il compito che l’umanità si trova davanti è pertanto estremamente serio ed implica un profondo impegno di lavoro interiore ed esteriore verso il superamento dell’odio, sia a livello individuale che di popolo.
Se questo non avverrà, è difficile pensare che questa civiltà possa arrestare il suo declino.