Il G20 e la consacrazione della crisi perpetua

G20
L’ultimo incontro dei G20 si è svolto senza la partecipazione né del più grande produttore né del più grande consumatore mondiale di energia: un raduno in dresscode informale pacchiano di tecnocratici aspiranti transumanisti e di ecosanitari deliranti, che evocano la scienza e la mobilitazione para-militare per il clima senza alcuna cognizione di causa. La parola chiave è stata l’Emergenza – sanitaria e climatica, perché l’emergenza è la droga, l’LSD dell’economia occidentale.

 

La stessa scelta di Roma come ultima sede del summit non è puramente simbolica, bensì un tributo di riconoscimento al merito di Italia per aver lanciato l’emergenza Covid in Europa e nell’Occidente. Il bel paese non è casualmente l’epicentro dell’emergenzialismo corrente, grazie a cui ha acquisito peso e protagonismo, ma il luogo dove “la politica della crisi permanente” è stata ufficialmente sdoganata ancora un decennio fa, con la paradigmatica frase di Mario Monti che non ha bisogno di dietrologia:

Non dobbiamo sorprenderci che l’Europa abbia bisogno di crisi, e di gravi crisi, per fare passi avanti. I passi avanti dell’Europa sono per definizione cessioni di parti delle sovranità nazionali a un livello comunitario. È chiaro che il potere politico, ma anche il senso di appartenenza dei cittadini a una collettività nazionale, possono essere pronti a queste cessioni solo quando il costo politico e psicologico del non farle diventa superiore al costo del farle perché c’è una crisi in atto, visibile, conclamata.

L’emergenza consente l’attuazione di un golpismo giustificato (quello stesso con cui si era insediato al governo anche Monti), scavalcando il sistema giuridico-istituzionale e le procedure democratiche, creando al tempo stesso euforia in gran parte della popolazione, con tanto di attese di un non chiaramente definibile cambiamento verso il meglio. Si tratta di un concetto illustrato più volte anche da Romano Prodi – un vero euforico del “bad luck”, secondo cui il progetto europeo può andare avanti solo a colpi di crisi. Anche con l’emergenza Covid Prodi non ha esitato ad affermare che per il rilancio dell’UE questa è una grande occasione, “un’occasione unica per l’Europa per creare idee e proposte per il futuro”.


Ai tempi del passaggio da governo Berlusconi a governo Monti, la tattica seguita dall’oligarchia italiana era quella dell’emergenzialismo finanziario, evocato dai media fino allo sfinimento, con lo spauracchio dello spread e del contatore del debito pubblico. Ma in realtà Italia è l’unico paese che trucca i conti pubblici all’incontrario, in modo da far apparire la spesa pensionistica superiore a quella effettiva poiché, a differenza degli altri paesi, vi inserisce anche la spesa assistenziale. Lo stesso vale per il debito pubblico: mentre la Germania lo dissimula non calcolando l’indebitamento dei Länder e di altre agenzie governative, al contrario i governi italiani enfatizzano il proprio debito, presentandolo come una mina vagante pronta a esplodere. Nella retorica della crisi è implicito presentare l’Italia come una sorta di vittima o succube della Germania, senza poter spiegare quale effettivo potere contrattuale abbia la Germania nei confronti dell’Italia, dato che è la Germania il paese che avrebbe maggiormente da perdere in caso di implosione della moneta unica. Ecco il perché della sua gratitudine ed endorsement nei confronti di Draghi (“disegnatore di strumenti straordinari per impedire la dissoluzione dell’Eurozona”), camuffati dalla fiaba germanica sulla generosità di Merkel, grazie a cui l’Italia ha potuto usufruire del Recovery Fund.

Agli intellettuali che ancora si ostinano a definire la gestione della pandemia come un imperversare del capitalismo neoliberista, va ricordato che la gestione di questa emergenza è bipolare, in quanto il cuore batte a sinistra mentre l’incasso di dividendi è a destra. Essa si avvale sia del poderoso motore produttivo delle corporazioni private che dell’apparato statale/governativo di disciplina e repressione autoritaria delle risorse umane. Ideologicamente l’emergenza si serve della retorica della “solidarietà” e del civismo superlativo, ipocrisie tipicamente di sinistra, mentre in sostanza produce assistenzialismo per i ricchi, dove il denaro pubblico viene usato come un bancomat per mandare avanti interessi e progetti privati. Sono trent’anni che dalle pensioni si spreme assistenzialismo per i banchieri, obbligando i pensionati ad aprire un conto corrente, o assistenzialismo per manager, costringendo l’INPS ad assorbire quella voragine finanziaria che è stata l’INPDAI, e ora anche con il sussidio di disoccupazione, ossia il Reddito di Cittadinanza, riconvertito in assistenzialismo per agenzie private di lavoro interinale. Per non parlare dei contratti governativi a lungo termine con le Case farmaceutiche e i rincari a non finire in bolletta a titolo di incentivi per le società private produttrici di energia alternativa. Dal punto di vista funzionale, l’emergenzialismo può essere definito come una falsa retorica comunitarista/collettivista – un palliativo ideologico, finalizzata a una forzosa e sempre più massiccia concentrazione di capitali in mani private. (Mai sottovalutare l’insaziabilità degli appetiti dei ricchi, infatti!)

Tanti paragonano il Green pass al sistema del credito sociale cinese, che è una specie di patente a punti: se fai il bravo ti vengono concessi piccoli privilegi, se fai il trasgressore ti viene negato perfino il diritto di circolazione. Non è escluso che l’idea base del Green pass sia stata copiata dal modello di controllo digitale attuato in Cina, ma c’è una differenza sostanziale. Il governo cinese esige disciplina ma in cambio sta aumentando il reddito della popolazione, facendo consolidare la classe media. Mentre il sistema di controllo sociale pensato per l’Italia è finalizzato a omologare i sudditi a un ribasso del reddito, eliminando dalla concorrenza del mercato una serie di esercizi e piccole imprese.

La sola gratificazione concessa agli allineati – i sostenitori del Green pass, è quella di vedere i non allineati trattati peggio di loro, il che fa capire il degrado a cui è ridotta la tenuta sociale. Non bisogna mai smettere di ricordare agli allineati che ogni limitazione e maltrattamento inflitti ai non allineati non tarderanno a scaricarsi anche sui più servili e ligi alle assurde direttive del governo. L’emergenzialismo prevede infatti sempre nuove restrizioni e l’assunzione perenne di altre dosi non solo di vaccino, ma di ansia e angoscia artificialmente indotte, dove il dover allinearsi con l’emergenza climatica ci sorprenderà con misure ancora più assurde.

Il passo successivo dell’emergenzialismo italico è quello di trasformare Italia da regime parlamentare/repubblicano in un presidenzialismo di fatto, facendo convergere nella figura di Draghi la carica di primo ministro e quella di presidente della Repubblica. Un passo con cui Italia si prepara a diventare monarchia assoluta, ma tale deriva era già annunciata dalle carriere presidenziali di Napolitano e Mattarella, entrambi assurti dai media a entità assolute, alla stregua dei faraoni egizi, dove ogni critica nei loro confronti è equiparabile a blasfemia o a terrorismo. Solo l’aspirazione di Mattarella all’immortalità faraonica attraverso un bis potrà impedire a Draghi la corsa al Quirinale, costringendolo ad occuparsi dell’attuazione del PNRR di cui lui stesso sa quanto sia demenziale come piano: un piano di mera successione di intenti senza alcuna consequenzialità.

Anche se in questa fase Draghi appare una figura di inattaccabile prestigio internazionale, oltre che un’autorità nazionale suprema, in effetti la sua posizione è abbastanza critica: dovrà passare dal repertorio dell’emergenza sanitaria al repertorio dell’emergenza climatica con nuovi e sempre più contorti espedienti di persuasione – un lavoro più da attore politico da due soldi, privo di requisiti particolari, che da un tecnocrate ultra accreditato come lui. Dovrà subirsi e farsi carico di tutte le contraddizioni di una narrazione imbarazzante, a cui l’opinione pubblica si mostra sempre più scettica e refrattaria. Nel momento in cui Draghi non si sentirà più a proprio agio nell’interpretare questo ingrato ruolo, lascerà che si apra una crisi di governo e che il conflitto per il potere in Italia diventi ancora più aspro, con il rischio che si generi caos da scenari greci, il che sarà quanto meno un’ipotesi auspicabile rispetto a ciò che si prospetta dall’eventuale consolidazione di un potere senza scrupoli.

05 Novembre 2021

Zory Petzova

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Zory Petzova, studiosa dei paradossi sociali nella loro molteplicità e interferenza con la natura umana.

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