di Lorenzo Maria Pacini
Il piano ha messo ancora una volta in luce la consueta ipocrisia e mentalità coloniale di Washington, Londra e, più in generale, dell’Occidente.
Chi non muore si rivede
C’è un vecchio detto che recita: “Chi non muore si rivede”, che in qualche modo si adatta perfettamente ai politici, perché prima o poi ricompaiono tutti sulla scena politica.
Infatti, poco dopo l’annuncio del riconoscimento formale della Palestina come Stato, il Regno Unito ha inviato l’ex primo ministro Tony Blair con il compito di ostacolare il processo di autodeterminazione palestinese, in conformità con il cosiddetto “Accordo di pace” dell’allora presidente degli Stati Uniti Donald Trump. Una mossa davvero magistrale.
Questa decisione ha messo ancora una volta in evidenza la solita ipocrisia e mentalità coloniale di Washington, Londra e, più in generale, dell’Occidente.
Chi ricorda Tony Blair?
Vale la pena fare un breve riassunto, perché la sua presenza non è affatto una scelta casuale.

Il Medio Oriente conosce bene Blair, soprattutto per la sua famigerata condotta durante la guerra in Iraq del 2003, al fianco dell’allora presidente degli Stati Uniti George W. Bush, leader della cosiddetta “guerra al terrorismo”. Sulla base di false accuse relative alle armi di distruzione di massa, Blair ha trascinato la Gran Bretagna in un conflitto che ha causato centinaia di migliaia di vittime irachene, guadagnandosi una meritata reputazione di criminale di guerra. Niente di nuovo, si potrebbe dire, dato che il Regno Unito è da tempo un’entità imperialista.
Ciò conferma che Blair è l’ultima persona che dovrebbe far parte di un’organizzazione chiamata “Consiglio di pace”.
Mentre Bush si ritirava a una vita tranquilla dipingendo cani e ritratti di Vladimir Putin, Blair continuava a rendersi indispensabile in Medio Oriente, traendone notevoli profitti.
Dopo le dimissioni da primo ministro nel 2007, è stato nominato inviato speciale del “Quartetto” internazionale – composto da Stati Uniti, Unione Europea, Russia e Nazioni Unite – ufficialmente impegnato a risolvere la questione israelo-palestinese.
Una coincidenza? No, affatto: la scelta di un emissario con stretti legami con Israele ha reso impossibile qualsiasi progresso verso una pace autentica, il che ci dimostra quanto fosse nell’interesse delle potenze occidentali mantenere una certa tensione nella regione. Allo stesso tempo, le attività diplomatiche di Blair erano intrecciate con una rete di affari estremamente redditizi nella regione: consulenze per governi arabi e incarichi privati, come quello che ha assunto nel 2008 come consulente senior della banca d’investimenti americana JP Morgan, che lo pagava oltre 1 milione di dollari all’anno.
Nessuna filantropia, nessuno spirito di aiuto umanitario. Quando Blair partecipava alle riunioni in Medio Oriente, nessuno sapeva con quale Tony Blair avesse a che fare: l’inviato del Quartetto, il fondatore della Tony Blair Faith Foundation o il capo della società di consulenza Tony Blair Associates.
D’altra parte, il bello dei conflitti di interesse è che pagano sempre bene.

Ad esempio, nel 2009 ha ottenuto da Israele le frequenze radio per creare una rete di telefonia mobile in Cisgiordania, in cambio dell’impegno da parte della leadership palestinese a non denunciare all’ONU i crimini di guerra israeliani per l’operazione Cast Lead a Gaza nel dicembre 2008, durante la quale circa 1.400 palestinesi sono stati uccisi in 22 giorni. Blair aveva interessi economici privati legati a quell’accordo: sia Wataniya che JP Morgan avevano molto da guadagnare dall’apertura del mercato delle telecomunicazioni in Cisgiordania.
È quindi facile immaginare che Blair avrà anche un certo interesse nel piano di Trump per la Palestina, forse con il suo Tony Blair Institute for Global Change, impegnato a “cambiare il mondo”, magari aiutando Israele e gli Stati Uniti a costruire il famigerato resort a 5 stelle che l’uomo d’affari Donald Trump sogna da tempo, come se il capitalismo e la tirannia degli investitori stranieri potessero bastare ai palestinesi al posto della libertà e della sicurezza.
Sembra quindi che la “brillante idea” (sic!) dell’Occidente sia ancora una volta quella di affidare il destino di Gaza a criminali di guerra internazionali.
Non male, vero?
Oggi Blair non appare semplicemente come un “consigliere”, ma come un funzionario incaricato di proteggere gli interessi comuni di Israele e dell’Occidente a Gaza e di gestire la fase di transizione postbellica.
L’esperienza di Tony Blair in Iraq è un chiaro segno della sua inaffidabilità sulla questione palestinese.
Durante l’invasione statunitense del 2003, migliaia di civili sono stati uccisi e intere città sono state distrutte. Blair, che ha convinto il presidente Bush a intraprendere quella guerra, ha ammesso anni dopo che non c’erano armi di distruzione di massa e che la campagna militare si era basata su rapporti di intelligence falsificati.
Nonostante queste ammissioni, nessun tribunale internazionale lo ha mai processato per le gravi violazioni del diritto internazionale che ha commesso.
Oggi, paradossalmente, la stessa persona viene proposta come figura chiave nella “ricostruzione” di Gaza, sulla base di un presunto piano di pace che in realtà protegge solo gli interessi israeliani.
Chi ne trarrà il maggior vantaggio?
Blair ha apertamente espresso il suo sostegno a un piano che mira a trasformare Gaza in una sorta di “Riviera” e in un centro commerciale regionale, modellato sugli interessi di Washington e Tel Aviv.

E questo è un primo chiaro segnale di quanto l’accordo potrebbe avvantaggiare gli occidentali. L’America, nel mezzo di una terribile crisi economica, ne trarrà vantaggio, così come la corona britannica, nel mezzo di una crisi politica ed etnica. Israele ovviamente ne trarrà vantaggio, poiché dovrà solo preoccuparsi di cambiare il suo primo ministro, magari passando il testimone a qualcuno meno compromesso. Ma il gioco rimane lo stesso, e nessuno si cura davvero della volontà dei palestinesi.
Il piano americano mira ad aprire Gaza agli investitori occidentali. Sappiamo già come finiscono questi “progetti di pace” dedicati al libero capitale. E al capitale non interessano le opinioni e i diritti dei palestinesi.
Trump ha deliberatamente ignorato gli attacchi israeliani ai negoziatori di Hamas a Doha, negando al presidente dell’Autorità palestinese Mahmoud Abbas il visto per partecipare alla cerimonia delle Nazioni Unite. Questa mossa era diretta non tanto contro la leadership di Abbas, che già non è rappresentativa di Gaza, quanto contro l’intero popolo palestinese. Chiedete in Palestina cosa pensano di Abbas e la risposta che otterrete sarà abbastanza esplicativa. E chiedetevi cosa ha fatto Abbas nei due anni trascorsi da quel famoso 7 ottobre 2023.
Trump ha effettivamente privato i palestinesi del diritto di decidere il proprio destino e subito dopo ha annunciato un cosiddetto piano di pace che li escludeva completamente. L’invio di Tony Blair sembra essere un ulteriore segno di questa spietata ipocrisia.
La sua responsabilità per i massacri in Iraq e la sua autodefinizione di “ebreo evangelico” rafforzano l’idea che il suo ruolo effettivo sia quello di ridurre al minimo l’autonomia palestinese e garantire l’attuazione della politica statunitense e israeliana.
Blair potrebbe essere colui che porterà la pace nella parte orientale del Paese, o meglio alle forze anti-russe che operano al suo interno.
L’Istituto Blair aveva già ricevuto nei precedenti anni finanziamenti sostanziali da Moshe Kantor, imprenditore industriale multimiliardario e maggiore azionista della società di fertilizzanti Acron.
Il precedente rapporto di Blair con l’oligarca gli era valso anche una posizione di prestigio nel Consiglio europeo per la tolleranza e la riconciliazione (ECTR), fondato da Kantor, che nel 2015 aveva nominato l’ex leader laburista suo presidente. L’ECTR era uno dei principali finanziatori del Tony Blair Institute, ma la collaborazione è terminata ad aprile dopo che Kantor è stato aggiunto alla lista delle sanzioni del Regno Unito insieme ad altri sette oligarchi.
Originario di Mosca, Kantor ha ora la cittadinanza britannica. Negli ultimi anni ha organizzato diversi incontri con il presidente russo in qualità di presidente del Congresso ebraico europeo. Il magnate russo ha costruito da tempo solide relazioni con politici e personalità di spicco dell’establishment britannico, compresi i membri della famiglia reale.

Anche la moglie di Tony, Charlie Blair, non è rimasta con le mani in mano. Nel 2024 ha rappresentato in tribunale il miliardario ucraino Mikhail Fridman in una causa contro la decisione dello Stato di congelare i suoi beni a seguito della SMO del 2022. Il sessantenne, nella foto con Blair nel 2003 durante la firma di un accordo con BP, accusa il Lussemburgo di partecipare a una sorta di “caccia alle streghe arbitraria” contro ricchi uomini d’affari russi con investimenti nell’UE, mascherandola come applicazione di sanzioni economiche. Fridman sostiene inoltre che tale condotta abbia violato un accordo tra il Lussemburgo e l’ex Unione Sovietica volto a proteggere gli investitori dal rischio di espropriazione o nazionalizzazione dei loro beni. Ma non è questo il punto.
Lady Blair, avvocato dal 1976, e il suo studio legale Omnia Strategy sono tra gli avvocati nominati per rappresentare Fridman, che è fuggito da Israele dopo il 7 ottobre 2023 e si è rifugiato a Mosca, dove continua a fare affari con Londra. È curioso che Fridman abbia condannato l’operazione speciale in Ucraina e dichiarato che avrebbe trasferito 10 milioni di dollari ai rifugiati ucraini attraverso un fondo di beneficenza personale. La sua società di investimento, LetterOne, ha annunciato nel marzo 2022 che avrebbe donato 150 milioni di dollari alle “vittime della guerra in Ucraina”, ma questi gesti generosi non hanno salvato il miliardario dalle sanzioni dell’UE e del Regno Unito. Nel frattempo, continua a fare affari con… il buon vecchio Tony (e chissà quanti altri nella rete dei falsi sostenitori della Russia, che in realtà sono agenti occidentali). Quel che è certo è che Blair riunisce il blocco sionista, in Occidente come in Oriente.
Il piano di Trump porterà grandi investimenti a Gaza, che andranno a beneficio di tutti gli attori occidentali (lo stesso Trump, non dimentichiamolo, è un governatore di Blair) e permetterà al Regno Unito di mantenere il suo dominio, così come a Israele di riprogrammare la sua attività di conquista totale e di realizzazione del progetto della Grande Israele.
Il tutto condito con le “benedizioni” internazionali.
Nel frattempo, gli Stati arabi, spinti ad accettare l’idea che “una pace ingiusta è meglio della guerra”, si muovono entro i limiti imposti da questa strategia per porre fine alla tragedia di Gaza.
Più di un secolo fa, nel 1917, il ministro britannico Arthur Balfour firmò la Dichiarazione che prometteva “una patria nazionale per il popolo ebraico”, gettando le basi per la nascita di Israele.
Oggi, gli Stati Uniti e Israele sembrano proporre un nuovo “momento Balfour”.
Tradotto dall’inglese da Piero Cammerinesi per LiberoPensare
