di Piero Cammerinesi
La storia si svolge nel Belpaese, un vero e proprio Paese dei Balocchi, dove tutto è permesso e la legalità e la moralità sono un lontano ricordo di cui ancora parlano gli anziani.
Quelli che, per intenderci, raccontano ancora ai nipoti di aver fatto il partigiano.
Il Belpaese è invaso – ormai da anni – da topi, scolopendre, pantegane e parassiti assortiti che ne hanno occupato tutti i posti di controllo, schiavizzando e irridendo i cittadini.
Un bel giorno un uomo con un piffero magico si presenta ai cittadini e promette di disinfestare il Paese da ratti e pantegane che infestano il parlamento e i poteri forti.
La gente acconsente, con la speranza di liberarsi una volta per tutte dai parassiti che infestano il Paese e promette al pifferaio eterna gratitudine.
Il pifferaio tira fuori il suo piffero e cerca una melodia abbastanza suadente per affascinare tutti, dai giovani rampolli rampanti alle anziane zie di campagna, dai milionari ai mendicanti, dai mangiapreti alle beghine.
Non appena il pifferaio inizia a suonare, i ratti e le pantegane restano – anch’essi – incantati dalla sua musica e si mettono a seguirlo, lasciandosi condurre fino a … un nuovo governo, dove, invece di morire annegati come nella fiaba originale, eleggono entusiasticamente il pifferaio loro guida e loro maître à penser.
Anche perché di “penser” ce ne era ben poco prima e ancor meno ora.
I cittadini del Belpaese credono di essersi liberati da ratti e parassiti assortiti, ma non sanno che i ratti e le pantegane sono sempre lì.
Solo si sono travestiti per non farsi riconoscere.
Secondo voi ci sarà un lieto fine a questa nuova versione della fiaba del Pifferaio di Hamelin?
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Nessuno è più schiavo di colui che si ritiene libero senza esserlo.
(Goethe)