L’autolesionismo dell’Occidente nella Guerra in Ucraina

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Harold Pinter aveva ragione

Lezioni di autosabotaggio occidentale dalla guerra in Ucraina.

“Harold Pinter (photograph)” by Beaton, Cecil is licensed under CC BY-NC-ND 4.0.

Esistevano due serie di gasdotti, entrambi parzialmente finanziati da oligarchi russi fedeli al presidente Vladimir Putin. Il Nord Stream 1 è entrato in funzione nel 2011 e nel giro di dieci anni la Russia ha fornito alla Germania più della metà del suo fabbisogno energetico complessivo, con la maggior parte del gas a basso costo destinato all’uso industriale. Il Nord Stream 2 è stato completato nell’estate del 2021, ma non è mai entrato in funzione. Nel febbraio 2022, all’inizio della guerra, Scholz bloccò il processo di certificazione del gasdotto. Il Nord Stream 2 era carico di gas destinato alla Germania, ma il suo enorme carico è stato bloccato all’arrivo da Scholz, ovviamente su richiesta dell’amministrazione Biden.

Lo scorso 26 settembre, i due gasdotti sono stati distrutti da bombe sottomarine. All’epoca non si sapeva chi fosse il responsabile del sabotaggio, tra le solite accuse occidentali alla Russia e le smentite russe. A febbraio ho pubblicato un resoconto dettagliato del ruolo della Casa Bianca nell’attacco, affermando che uno dei principali obiettivi di Biden era quello di impedire a Scholz di revocare la sua decisione di interrompere il flusso di gas russo verso la Germania.

Il mio resoconto è stato smentito dalla Casa Bianca e ad oggi nessun governo si è assunto la responsabilità.

La Germania ha superato l’inverno preterintenzionalmente caldo dello scorso anno, grazie ai generosi sussidi energetici concessi dal governo a case e imprese. Da allora, però, la mancanza di gas russo è stato il fattore principale dell’aumento dei costi energetici che ha portato a un rallentamento dell’economia tedesca, la quarta più grande del mondo. La crisi economica ha provocato un aumento dell’opposizione politica alla coalizione politica guidata da Scholz. Un’altra questione che divide è il costante aumento delle domande di immigrazione dal Medio Oriente e dall’Africa e l’oltre un milione di ucraini che sono fuggiti in Germania dall’inizio della guerra in Ucraina.

I sondaggi in Germania hanno costantemente mostrato un enorme malcontento per la crisi economica che il Paese si trova ad affrontare. Un sondaggio analizzato da Bloomberg il mese scorso ha rilevato che solo il 39% degli elettori tedeschi crede che il Paese sarà una nazione industriale leader nel prossimo decennio. Il dispaccio ha citato in particolare le lotte politiche interne sulle politiche di sovvenzione del riscaldamento domestico e aziendale, ma non ha menzionato una delle principali cause della crisi: la decisione di Biden di distruggere i gasdotti Nord Stream.

Da un’analisi dei recenti resoconti sulla crisi economica tedesca nelle pubblicazioni economiche tedesche, americane e internazionali, in gran parte eccellenti, non è emersa una sola citazione della distruzione dell’oleodotto come motivo principale del pessimismo nazionale.

Non ho potuto fare a meno di chiedermi cosa avrebbe detto Pinter dell’autocensura.

A luglio Politico ha riferito che Robert Habeck, vice cancelliere e ministro dell’Economia tedesco, membro del partito dei Verdi, ha avvertito che il Paese si troverà sicuramente ad affrontare un’economia in contrazione e una transizione verso l’energia verde che “graverà” sulla popolazione. A maggio, il governo tedesco ha annunciato che il Paese era entrato in recessione. Secondo Politico,

“alcune aziende del Paese hanno iniziato ad abbandonare la Patria, scatenando il timore di una deindustrializzazione”.

Habeck ha affermato che il rallentamento economico potrebbe essere spiegato dagli alti prezzi dell’energia, che la Germania ha percepito più intensamente di altri Paesi “perché faceva affidamento sul gas russo a basso costo”. L’articolo non specifica perché il gas russo non arrivi più in Germania.

Il rifiuto della Casa Bianca o di uno qualsiasi dei Paesi scandinavi – Norvegia, Svezia e Danimarca – che hanno fornito sostegno al sabotaggio americano occulto dei gasdotti, di assumersi la responsabilità delle proprie azioni, si è rivelato un vantaggio importante per Scholz, che ha incontrato Biden alla Casa Bianca nel febbraio del 2022, quando Biden ha minacciato direttamente di distruggere il Nord Stream 2. Alla domanda su come avrebbe risposto in caso di invasione da parte della Russia, Biden ha risposto:

“Se la Russia invade… non ci sarà più il Nord Stream 2. Gli metteremo fine”.

Scholz non ha detto nulla in pubblico ed è tornato alla Casa Bianca lo scorso inverno per una visita privata di due giorni – il suo aereo non portava con sé alcun membro dei media tedeschi – che ha incluso una lunga sessione a tu per tu con Biden. Non c’è stata una cena di Stato né una conferenza stampa, se non un breve scambio di banalità con il Presidente di fronte al corpo dei giornalisti della Casa Bianca, ai quali non è stato permesso di fare domande.

È impossibile non chiedersi ancora una volta se Biden abbia informato il cancelliere dell’operazione in corso lo scorso febbraio e se lo abbia avvertito in anticipo della distruzione dell’oleodotto lo scorso settembre. Il continuo silenzio di Scholz su un atto di violenza contro il suo Stato può essere descritto solo come mistificatorio, specialmente quando la crisi energetica si è intensificata negli ultimi mesi fino a far soffrire il popolo tedesco. La fine dei gasdotti ha anche eliminato un potenziale dilemma politico disastroso per il cancelliere: se i gasdotti fossero stati ancora intatti ma chiusi per suo ordine, sarebbero state forti le pressioni perché aprisse le valvole e lasciasse scorrere il gas da parte di coloro che ritenevano che mantenere il popolo tedesco al caldo e al benessere fosse più importante che sostenere la Casa Bianca, la NATO e Volodymyr Zelensky, il presidente ucraino, in una guerra che non doveva essere combattuta.

È possibile che la Casa Bianca, tenendolo al corrente, lo abbia salvato da un enigma che gli avrebbe fatto perdere la carriera: sostenere la NATO e l’America in guerra o proteggere il suo popolo e l’industria tedesca.

Lo scorso ottobre, Lisa Hänelin un servizio per Deutche Welle, una rete televisiva di proprietà statale, ha evidenziato un costo sociale immediato della mancanza di gas russo per la classe media tedesca: gli assistenti sociali regionali tedeschi le hanno detto che

“sempre più persone sono preoccupate di non poter più far fronte all’aumento dei prezzi e dei costi energetici”.

Parlando dell’impatto della mancanza di gas russo a basso costo su coloro che appartengono alla fascia di reddito medio-bassa, che comprende 18 milioni di persone in Germania che lottano per stare al caldo e per nutrirsi bene, ha scritto che

“potrebbero essere colpiti duramente dall’inflazione e dalla crisi energetica”.

Adam Button, analista economico canadese che scrive per ForexLive.com, ha pubblicato il mese scorso un saggio dal titolo I pilastri dell’economia tedesca si stanno sgretolando. Tre motivi di preoccupazione“. I suoi tre motivi: la produzione industriale è in calo, i deficit sono in aumento e i costi dell’energia sono in crescita.

La produzione e l’esportazione di automobili “sono il cuore dell’economia tedesca”, scrive Button.

“Le loro macchine”, scrive, “hanno alimentato l’Europa e sono state un degno concorrente di Stati Uniti e Giappone. Ma c’è un nuovo rivale: la Cina. Il fiorente settore manifatturiero automobilistico cinese è in arrivo per tutti, ma il modello tedesco, sensibile alle esportazioni, potrebbe essere maggiormente a rischio a causa dei veicoli elettrici cinesi. Nel migliore dei casi, si tratta di una formidabile ondata di concorrenza che danneggia i margini e indebolisce la Germania. Nel peggiore dei casi, invece, l’industria tedesca ad alto tasso di salario viene messa in ginocchio”.

La fornitura di energia a basso costo, prodotta da Nord Stream I, entra in gioco nell’analisi di Button:

Il modello economico della Germania prevede l’esportazione di prodotti manifatturieri, con la Cina come mercato di riferimento. La concorrenza della Cina è già un grosso ostacolo, ma è aggravata dall’aumento dei costi dell’energia. La Germania è sopravvissuta all’inverno del 2023 meglio di quanto mi aspettassi, ma grazie a forti sussidi e al bel tempo. Non è una formula per il lungo termine e, a parte i discorsi fantasiosi sull’idrogeno, non vedo un modo per la Germania di abbandonare le costose importazioni di GNL [gas naturale liquefatto].

La settimana scorsa il ministro dell’Economia tedesco Robert Habeck ha detto una dura verità. Ha detto che la Germania deve affrontare cinque difficili anni di deindustrializzazione a causa degli alti prezzi dell’energia. Ha chiesto maggiori sussidi per l’energia come ponte verso il 2030, quando, secondo le sue stime, l’energia verde prenderà il sopravvento.

Il problema è di bilancio. I Paesi dell’Eurozona sono vincolati a deficit inferiori al 3%. La Germania è attualmente al 4,25%, rispetto al 2,6% di un anno fa. Secondo le stime del ministero delle Finanze, il deficit scenderà allo 0,75% nel 2026, ma ciò presuppone la fine di tutti i sussidi all’energia. Qui sta il problema: o si tagliano i sussidi e si perde l’industria o si sovvenziona e si violano le regole sul deficit.

Per anni la Germania è stata il gendarme del sistema del deficit e i Paesi periferici potrebbero volerle restituire un po’ della sua stessa medicina; inoltre, l’opinione pubblica tedesca è notoriamente austera. Il problema è che anche se gli alti sussidi rimangono in vigore, l’industria tedesca è sottoposta a forti pressioni. Semmai, i sussidi devono essere aumentati. . . . .

C’è una finestra per grandi sussidi, ma il governo deve decidere se queste munizioni fiscali devono essere spese per sovvenzionare l’industria, la transizione verde o una combinazione di entrambi. L’ideale sarebbe aprire completamente i rubinetti, ma temo che i vecchi istinti di spesa avranno la meglio, condannando l’economia tedesca.

La perdita dell’economico gas russo ha colpito anche la multinazionale tedesca della chimica BASF, che impiega più di 50.000 persone nel suo Paese. L’azienda ha annunciato una serie di tagli da quando i gasdotti sono stati demoliti. Migliaia di lavoratori sono stati licenziati e l’azienda ha chiuso uno dei suoi principali impianti. Un resoconto dei tagli spiega che la guerra in Ucraina

“ha ridotto drasticamente le forniture di gas naturale in Europa e ha aumentato la bolletta energetica di BASF nel continente di 2,9 miliardi di dollari nel 2022”.

L’articolo di Button, come tutti quelli esaminati per questo rapporto, non menziona la causa principale della riduzione della fornitura di gas naturale. Né dice che è stata la distruzione dei gasdotti a costringere la BASF a cambiare i suoi piani per un investimento di 11 miliardi di dollari in un complesso all’avanguardia che ha salutato come il gold standard per la produzione sostenibile. Il progetto sarà costruito in Cina.

“Siamo sempre più preoccupati per il nostro mercato nazionale”, ha spiegato lo scorso aprile l’amministratore delegato Martin Brudermüller agli azionisti. “La redditività non è più vicina a quella che dovrebbe essere”.

Pinter, morto nel 2008, avrebbe apprezzato l’ironia del fatto che l’amministrazione Biden, nel tentativo di proteggere i suoi investimenti politici ed economici nello sforzo bellico ucraino contro la Russia, possa aver dato una mano alla Cina, altra nemesi della Casa Bianca.

L’autore desidera ringraziare Mohamed Elmaazi di Londra per la sua superba ricerca.

Seymour Hersh

Tradotto dall’inglese da Piero Cammerinesi per LiberoPensare

Fonte


Seymour Myron “Sy” Hersh è un giornalista e scrittore statunitense. L’inchiesta che l’ha reso famoso è stata quella con cui svelò la strage di My Lai perpetrata durante la guerra del Vietnam; per essa ricevette il premio Pulitzer nel 1970.
Divenuto, in seguito all’inchiesta su quel fatto, uno dei giornalisti più noti degli Stati Uniti, negli anni successivi è stato autore di numerosi articoli e volumi sui retroscena dell’establishment politico-militare statunitense.
È stato reporter per The New Yorker e Associated Press, per il quale si occupa di temi geopolitici, di sicurezza e militari, in particolare riguardo l’operato dei servizi segreti e di intelligence.

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