di Edward Curtin
Se credete a ciò che è scritto sui cappelli indossati alla Knesset israeliana – “Trump, il presidente della pace” – siete illusi oltre ogni speranza. Halloween sta arrivando, ma non c’è bisogno di una maschera spaventosa per rendersi conto degli orrori che ci attendono.
Trump è il culmine di una lunga storia dell’orrore. A differenza dei suoi predecessori che gli hanno preparato la strada e che in genere indossavano maschere tradizionalmente rassicuranti per nascondere le loro azioni malvagie, lui è il più grande e palese impostore che abbia mai occupato la Casa Bianca. È un guerrafondaio, un assassino genocida e un nemico del popolo in patria e all’estero così evidente, così capriccioso, così imprevedibile – un uomo dalle minacce infinite – che nessuno dovrebbe sorprendersi di svegliarsi una mattina con notizie che potrebbero sembrare “scioccanti”. Tutti dovrebbero aspettarsi sorprese, non dolcetti ma scherzetti.

Trump è come una pubblicità che ti dice che i suoi personaggi non sono persone normali ma attori e che le loro chiacchiere non sono vere, solo per convincerti a comprare il prodotto che stanno promuovendo. Ogni lancio di Trump è una palla curva.
L’unico modo per spiegare la sua messinscena è che egli è il culmine di un lungo sviluppo decennale nella cultura americana, dove la recitazione è presentata come così falsa che il pubblico la considera reale proprio per la sua falsità. È uno scherzo pericoloso, e ancora più pericoloso perché si inserisce perfettamente nel più ampio sviluppo culturale che Neil Postman nel 1985 ha giustamente definito Amusing Ourselves to Death: Public Discourse in the Age of Show Business (Divertirci a morte: il discorso pubblico nell’era dello spettacolo) e che Neal Gabler ha poi chiamato Life:The Movie: How Entertainment Conquered Reality (La vita: il film: come l’intrattenimento ha conquistato la realtà).
È il culmine della corrente latente di dispotismo che ha attraversato la storia americana, specialmente negli ultimi venticinque anni, ma che molti vedono solo come una battaglia tra partiti politici, i cosiddetti buoni e cattivi. Non riescono a vedere che il fascismo è come un castello che richiede anni per essere costruito dalle fondamenta e che richiede la lenta accettazione da parte di tutte le sfumature dell’opinione politica della graduale perdita delle libertà fondamentali, l’accettazione di uno stato di guerra corporativo e di un governo segreto ospitato nelle agenzie di “intelligence” come la CIA, la NSA e la DIA (Defense Intelligence Agency), che lavorano in stretta collaborazione con i principali media e le società della Silicon Valley nelle loro partnership per fare propaganda e spiare il pubblico.
Una persona come Trump non nasce dall’oggi al domani. I suoi progenitori sono tutti quegli adulatori bipartisan che hanno accettato la versione ufficiale dell’11 settembre e l’immediata istituzione del Patriot Act (preparato durante l’amministrazione Clinton), lo stato di emergenza nazionale dichiarato da George W. Bush il 14 settembre 2001 e rinnovato ogni anno da allora, le guerre contro la Jugoslavia, l’Afghanistan, l’Iraq, la Siria, la Libia, la Russia, l’Iran, i palestinesi, ecc. (guerre lanciate e sostenute da repubblicani e democratici), il salvataggio delle grandi banche e delle istituzioni finanziarie nel 2009, il colpo di Stato statunitense del 2014 contro il governo ucraino, la cosiddetta guerra al terrorismo, la frode del Russiagate, gli omicidi extragiudiziali da parte dei presidenti degli Stati Uniti, la propaganda senza fine, la crescita dei “partenariati” pubblico-privati che hanno privatizzato i servizi governativi, le menzogne sul COVID, la nuova guerra fredda e l’enorme influenza di Israele all’interno del governo degli Stati Uniti, ecc. L’elenco è lungo. Trump, il despota codardo, non è nato dall’oggi al domani; è il risultato di una lunga serie di eventi.
“Ma cosa succede”, scrive Gary Wills in Reagan’s America: Innocents at Home, “se quando guardiamo nel nostro specchietto retrovisore storico, tutto ciò che vediamo è un film?”

Il fascismo è spesso accompagnato da una compiacenza sognante e da effetti hollywoodiani, come nel caso di Il trionfo della volontà, il film di propaganda nazista del 1935 di Leni Riefenstahl, commissionato da Adolf Hitler.
Oggi la cultura dello schermo domina il pensiero delle persone giorno e notte, e immagini e video digitali accompagnano i loro sogni diurni e notturni. Come attore di reality show, Trump è la perfetta incarnazione di questa cultura dello schermo. Tutti ora aspettano che qualcosa culmini nelle loro illusioni cinematografiche, un qualche epilogo in un film horror, come in La caduta della casa degli Usher di Poe.
Il drammaturgo tedesco Bertolt Brecht ha detto: “Per capire il fascismo bisogna capire il capitalismo da cui ha origine”. La fonte del capitalismo è la sua necessità di creare disuguaglianza tra ricchi e poveri. Una volta che questa viene minacciata, il capitalismo si trasforma in totalitarismo puro e semplice.
Fu nel 1985, l’anno in cui “ci divertivamo a morte”, che Donald Trump, un falso imprenditore immobiliare, acquistò l’Atlantic City Hilton Hotel e lo ribattezzò Trump’s Castle, segno della sua ossessiva megalomania. L’omaggio di Trump a se stesso finì in bancarotta sette anni dopo, prefigurando il futuro destino degli Stati Uniti. Era il primo anno del secondo mandato di Ronald Reagan, un ex attore che i suoi critici chiamavano il presidente attore. Ma Reagan stesso era orgoglioso della sua recitazione; pensava che gli fosse utile alla Casa Bianca, come scrive Gary Wills in Reagan’s America: Innocents at Home.
Trump fa sembrare Reagan autentico come pochi. Tutto ciò che riguarda Trump è kitsch, falso in ogni senso, una copia di una copia di una copia in una cultura della copia. Ma questo è il suo fascino per coloro che non riescono a distinguere tra illusione e realtà. È il ridicolo personaggio dei reality show che licenzia persone a destra e a manca o è davvero il presidente degli Stati Uniti? È molto appropriato che sia tornato alla presidenza proprio ora che l’intelligenza artificiale ha assunto un ruolo di primo piano.

Alle 17:16 del 9 novembre 1965 a New York City, sono sceso da un vagone della metropolitana IRT # 4 nella stazione sopraelevata all’aperto al 161St che si affaccia sullo Yankee Stadium e tutte le luci si sono spente in tutto il nord-est degli Stati Uniti. Cose del genere accadono quando meno ce lo aspettiamo.
Un topo può passare anni a costruire un castello di carte per la propria glorificazione, ma un altro topo può spegnere le luci e distruggerlo in una notte, come canta Kris Kristofferson in Darby’s Castle.
Si può essere certi che dietro le mura del villaggio Potemkin americano, i topi al potere stanno lottando tra loro per il dominio, e il pubblico – sia che viva nella casa delle bambole dell’illusione, pensando ancora che le cose vadano bene sotto Trump, sia che tema un futuro molto peggiore – un giorno si sveglierà con una grande sorpresa.
“Ma è bastata una sola notte per abbatterlo / Quando il castello di Darby è crollato a terra”.
Se quella sorpresa sarà solo la caduta del castello personale di Darby, o l’economia degli Stati Uniti e mondiale, o la nostra parvenza di democrazia, o il mondo intero sotto i missili nucleari in caduta, nessuno può dirlo. Ma come un jack-in-the-box che non è mai stato aperto, quando quella maniglia verrà girata da forze sinistre nell’oscurità della notte, ci sveglieremo con un grande shock. Perché le maschere sono cadute.
Oh, ci sono voluti trecento giorni
per innalzare le travi
e la sagoma era visibile a chilometri di distanza
e i frontoni raggiungevano un’altezza
pari a quella delle aquile nel cielo
ma è bastata una sola notte per abbatterlo
quando il castello di Darby è crollato al suolo
16 ottobre 2025
Traduzione dall’inglese di Piero Cammerinesi per LiberoPensare
Edward Curtin è un autore, ricercatore e sociologo di spicco che vive nel Massachusetts occidentale.
È ricercatore associato del Centre for Research on Globalization (CRG).


