Internet, dalla libertà alla prigionia?

Censorship In Democratic Countries

Internet un tempo rappresentava una promessa di libertà di parola per tutti; Big Tech l’ha trasformata in una prigione

The internet once offered a promise of free speech for everyone; Big Tech has since turned it into a prison
Uno smartphone all’interno della sala briefing della Casa Bianca mostra l’account Twitter sospeso del presidente americano Donald Trump, 8 gennaio 2021. © REUTERS/Joshua Roberts

Una volta pensavo che Internet avrebbe avuto sui gatekeeper dei media istituzionali lo stesso effetto dell’AK-47 sugli imperi coloniali in Africa. Questo prima che Big Tech trasformasse la promessa di libertà nella seconda venuta del feudalesimo.
La decisione di mercoledì da parte dell’“autorità di vigilanza” di Facebook – un tentativo trasparente di alienare la responsabilità della censura a un comitato internazionale – di estendere la censura al 45° presidente degli Stati Uniti Donald Trump è solo l’ultimo esempio, ma non il più eclatante. All’inizio di questa settimana, il maglio censorio è sceso sul progetto digitale Redfish di RT per i post che criticavano…il leader fascista italiano Benito Mussolini e l’Olocausto, tra le  altre cose.

Come si è arrivati a questo?
Anni fa, in una discussione sulla censura dei media, avevo tirato fuori Internet come la versione moderna dell’AK-47. Mentre gli eserciti coloniali europei sono stati in grado di conquistare l’Africa nel XIX secolo, utilizzando mitragliatrici e fucili a ripetizione, sono diventati incapaci di mantenerla quando il fucile automatico Kalashnikov ha posto i contadini in luoghi come Congo, Angola e Vietnam sullo stesso piano degli eserciti occidentali che cercavano di tenerli sottomessi.

Oppure, se volete una metafora più pacifica, è stata la promessa di pascoli liberi estesa a persone che prima erano state trattate come bestiame, rinchiuse in allevamenti intensivi e nutrite con brodaglia da un trogolo.

Questo accadeva nel marzo 2011.
Facebook, YouTube e Twitter esistevano già, ma stavano sfidando i gatekeeper e offrendo le loro piattaforme alla gente comune come me.
Nel 2016 tutto è cambiato.
Quello è stato l’anno in cui Trump è stato in grado di bypassare i gatekeepers istituzionali, usando quelle piattaforme per parlare direttamente al popolo americano.
Avendo consolidato Internet tra di loro, e sotto la pressione dei politici che già sostenevano, le Corporation che gestiscono queste piattaforme hanno iniziato a censurare contenuti e utenti – prima gradualmente, poi decisamente. Il pretesto per questo è stato il “Russiagate“, la teoria del complotto portata avanti dai democratici e dai loro alleati dei media istituzionali per spiegare il fiasco di Hillary Clinton nel 2016, delegittimare la presidenza di Trump e – come si è scoperto – giustificare la censura.

Come dimostrato dal recente esempio dello scontro di Twitter con la Russia sui contenuti illegali, o lo scontro di Facebook con l’Australia sulle notizie a pagamento, queste mega-corporazioni non sono contrarie alla censura o al rispetto della proprietà per principio. Piuttosto, il loro unico “principio” è il riduzionismo del “Chi fa cosa a chi”, un mondo in cui loro e quelli con cui vanno d’accordo non possono sbagliare, mentre chiunque altro non può essere nel giusto.

 



La lunga marcia che va dal bandire Alex Jones nel 2018 al bandire il presidente in carica degli Stati Uniti nel 2021 è stata portata a compimento con sorprendente alacrità. La collusione all’interno della Silicon Valley per bandire Trump con il pretesto palesemente falso di “incitare all’insurrezione” il 6 gennaio può essere stato il Rubicone politico, ma Big Tech aveva iniziato a mettere il dito, il pugno e persino il gomito sulla bilancia politica molto prima.

Vi dice niente la censura al New York Post su Hunter Biden? Che ne dite del “pre-bunking” del risultato delle elezioni del 2020, organizzato dagli attivisti democratici più di un anno prima? È nel famigerato articolo del Time di febbraio, quello sugli eroici “rafforzatori” del risultato elettorale “corretto”, sepolto tra altre informazioni-bomba e quindi facile da trascurare. C’era anche il CEO di Facebook Mark Zuckerberg che regalava letteralmente milioni di dollari ai democratici in alcune città e contee chiave, per aiutare a raccogliere e contare i voti per corrispondenza. La lista continua.

“Ma la mia azienda privata…” proclama allegramente la brigata che ha entusiasticamente applaudito il discorso di Barack Obama “non l’hai creato tu” solo pochi anni prima. Le Corporation non dovrebbero essere persone, nessuno è al di sopra della legge, Citizens United è un male – tranne quando ci aiuta ad andare al potere, nel qual caso va bene, continuate così…

Questi sono gli stessi “esperti” della Costituzione degli Stati Uniti che credono che il Secondo Emendamento si applichi solo ai moschetti, il Primo solo al governo, il Quarto è opzionale, il Quattordicesimo li batte tutti, e il Decimo è un reperto del passato e non si applica a nulla.

Credere che i “valori americani” debbano essere applicati alle imprese costituite negli Stati Uniti, sotto la protezione delle leggi americane – Sezione 230, guardate qui – e che beneficiano del potere degli Stati Uniti quando questi gonfiano i muscoli nei confronti di governi stranieri è assolutamente esilarante, considerando che a queste aziende in realtà non interessa nulla di quella repubblica costituzionale, ma sostengono Our Democracy che l’ha invece rimpiazzata.

Penso ancora di aver avuto ragione nel 2011, sostenendo che Internet aveva rotto il monopolio dell’informazione dei canali via cavo e dei giornali. Il crollo degli ascolti e delle entrate dei giornali lo ha confermato. Sfortunatamente, anche Big Tech l’ha capito – e ha ceduto alla tentazione di trasformare la promessa di pascoli aperti in quegli stessi allevamenti intensivi che avrebbe dovuto rimpiazzare.

Ora non siamo solo tornati a mangiare brodaglia dal trogolo delle Corporation, ma tutto ciò che abbiamo affermato, credendo nella libertà, è stato registrato e può essere e sarà usato come arma per “cancellarci” in qualsiasi momento.
Questo si potrebbe chiamare tecno-feudalesimo, tranne che per il fatto che i padroni universali non hanno obblighi e i servi non hanno diritti.

Nel lontano 2019, Trump aveva twittato un meme:

“In realtà, non stanno aggredendo me, ma voi. Io mi trovo solo in mezzo”.

Potete ora onestamente dire che aveva torto?

Nebojsa Malic

Nebojsa Malicè un giornalista serbo-americano, blogger e traduttore, che aveva una rubrica fissa su Antiwar.com dal 2000 al 2015, ed è ora redattore senior a RT. 

Fonte

Tradotto dall’inglese da Piero Cammerinesi per LiberoPensare

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