“Sul trono più alto del mondo, siamo ancora seduti solo sul nostro sedere”.
L’arroganza porta questi esemplari a presumere che i loro fondoschiena flaccidi siano al di sopra di quelli degli altri. Il risultato è che un mix caratteristico di arroganza e ignoranza finisce sempre per smascherare la prevedibilità delle loro previsioni.
Gli USA, il Paese dei Think Tank – inebriati dalla loro aura di potere autocreata – telegrafa sempre in anticipo ciò che sta facendo. È stato il caso del Progetto 11 settembre (“Abbiamo bisogno di una nuova Pearl Harbor”). È stato il caso del rapporto RAND sull’estensione eccessiva e lo sbilanciamento della Russia.
E ora è il caso del progetto in arrivo: la guerra americana ai BRICS, così come delineata dal presidente dell’Eurasia Group con sede a New York.
È sempre doloroso subire i sogni erotici intellettualmente superficiali della patria dei Think Thank mascherati da “analisi”, ma in questo caso particolare gli attori chiave del Sud globale devono essere fermamente consapevoli di ciò che li attende.
Prevedibilmente, l’intera “analisi” ruota attorno all’imminente, devastante umiliazione per l’Egemone e i suoi vassalli: ciò che accadrà nel Paese 404, noto – per ora – come Ucraina.
Brasile, India, Indonesia e Arabia Saudita sono stati liquidati come “quattro grandi oppositori” quando si tratta della guerra per procura tra Stati Uniti e NATO contro la Russia. È il solito vecchio tropo del “siete con noi o contro di noi”.
Ma poi ci vengono presentati i sei principali colpevoli del Sud globale: Brasile, India, Indonesia, Arabia Saudita, Sudafrica e Turchia.
Nell’ennesimo remix rozzo e campanilistico di una frase ad effetto riferita alle elezioni americane, questi sono qualificati come gli Stati chiave che l’Egemone dovrà sedurre, convincere, intimidire e minacciare per assicurarsi il dominio dell’“ordine internazionale basato sulle regole”.
L’Arabia Saudita e il Sudafrica si aggiungono a un precedente rapporto incentrato sui “quattro principali recinti”.
Il manifesto degli “swing state” [Stati in bilico NdT] sottolinea che sono tutti membri del G-20 e “attivi sia in geopolitica che in geoeconomia” (davvero? Questa sì che è una notizia bomba). Quello che non dice è che tre di loro sono membri dei BRICS (Brasile, India, Sudafrica) e che gli altri tre sono seri candidati ad entrare nel BRICS+: alle delibere sarà messo il turbo nel prossimo vertice dei BRICS in Sudafrica ad agosto.
È quindi chiaro il senso del manifesto dello swing state: una chiamata alle armi per la guerra americana contro i BRICS.
Quindi i BRICS non avrebbero forza…
Il manifesto degli swing state sogna che il near-shoring e il friend-shoring si allontanino dalla Cina. Sciocchezze: il potenziamento del commercio intra-BRICS+ sarà all’ordine del giorno d’ora in poi, soprattutto con l’estensione della pratica del commercio in valute nazionali (vedi Brasile-Cina o all’interno dell’ASEAN), il primo passo verso una diffusa de-dollarizzazione.
Gli swing states sono caratterizzati come “una non nuova incarnazione” del Movimento dei Non Allineati (NAM), o “altri raggruppamenti dominati dal Sud Globale, come il G-77 e i BRICS”.
A proposito di assurdità esponenziali. Si tratta di BRICS+, che ora ha gli strumenti (tra cui la NDB, la banca dei BRICS) per fare ciò che il NAM non ha mai potuto realizzare durante la Guerra Fredda: stabilire il quadro di un nuovo sistema che aggiri Bretton Woods e i meccanismi di coercizione a incastro dell’Egemone.
Quanto all’affermazione che i BRICS non hanno “fatto molta strada”, ciò rivela solo l’ignoranza cosmica di U.S. Think Tank Land su cosa siano i BRICS +.
La posizione dell’India è considerata solo in termini di membro del Quad, definito come uno “sforzo guidato dagli Stati Uniti per bilanciare la Cina”. Correzione: contenere la Cina.
Per quanto riguarda la “scelta” degli swing states di scegliere tra Stati Uniti e Cina su semiconduttori, IA, tecnologia quantistica, 5G e biotecnologie, non si tratta di una “scelta”, ma del livello in cui sono in grado di sostenere la pressione degli egemoni per demonizzare la tecnologia cinese.
La pressione sul Brasile, ad esempio, è molto più forte di quella sull’Arabia Saudita o sull’Indonesia.
Alla fine, però, tutto torna all’ossessione neocon straussiana: l’Ucraina. Gli swing states, in varia misura, sono colpevoli di opporsi e/o minare la demenza delle sanzioni. La Turchia, ad esempio, è accusata di aver convogliato articoli “a doppio uso” verso la Russia. Non una parola sul sistema finanziario statunitense che ha costretto le banche turche a non accettare più le carte di pagamento russe MIR.
Sul fronte del wishful thinking, questa perla spicca tra le tante: “Il Cremlino sembra credere di poter vivere rivolgendo il suo commercio verso sud e verso est”.
Ebbene, la Russia sta già facendo ottimi affari in tutta l’Eurasia e in una vasta area del Sud globale.
L’economia è ripartita (i motori sono il turismo interno, la costruzione di macchine e l’industria metallurgica); l’inflazione è solo al 2,5% (più bassa che in tutta l’UE); la disoccupazione è solo al 3,5% e il capo della Banca Centrale Elvira Nabiullina ha dichiarato che entro il 2024 la crescita tornerà ai livelli pre-SMO.
Il Think Tankland statunitense è congenitamente incapace di comprendere che, anche se le nazioni BRICS+ possono ancora avere alcuni seri problemi di credito commerciale da risolvere, Mosca ha già dimostrato come anche un implicito sostegno duro di una valuta possa rivelarsi un immediato cambio di gioco. La Russia sta sostenendo non solo il rublo ma anche lo yuan.
Nel frattempo, la carovana della de-dollarizzazione del Sud globale procede senza sosta, per quanto le iene della guerra per procura possano continuare a ululare nel buio. Quando si scoprirà la portata dell’umiliazione della NATO in Ucraina, probabilmente entro la metà dell’estate, il treno ad alta velocità della de-dollarizzazione sarà al completo, senza sosta.
“L’offerta che non si può rifiutare” viene riproposta
Se tutto ciò non fosse già abbastanza sciocco, il manifesto degli swing state raddoppia sul fronte nucleare, accusandoli di “futuri rischi di proliferazione (nucleare)”: in particolare – chi altro – l’Iran.
A proposito, la Russia viene definita una “media potenza, ma in declino”. E per giunta “iper-revisionista”. Oh cielo: con “esperti” come questi, gli americani non hanno nemmeno bisogno di nemici.
E sì, a questo punto siete autorizzati a ridere a crepapelle: La Cina è accusata di voler dirigere e cooptare i BRICS. Il “suggerimento” – o “l’offerta che non potete rifiutare”, in stile mafioso – agli swing states è che non potete unirvi a un “organismo diretto dalla Cina e assistito dalla Russia che si oppone attivamente agli Stati Uniti”.
Il messaggio è inequivocabile: “La minaccia di una cooptazione sino-russa di un BRICS allargato e, attraverso di esso, del Sud globale, è reale e deve essere affrontata”.
Ed ecco le ricette per affrontarlo. Invitare la maggior parte degli swing states al G-7 (è stato un misero fallimento).
“Più visite ad alto livello da parte dei principali diplomatici statunitensi” (benvenuto al distributore di biscotti Vicky Nuland). E infine, ma non per questo meno importante, tattiche mafiose, come una “strategia commerciale più agile che inizi a rompere il ghiaccio dell’accesso al mercato statunitense”.
Il manifesto dello swing state non poteva non far uscire il Top Cat dal sacco, prevedendo, anzi pregando, che “le tensioni tra Stati Uniti e Cina aumentino drammaticamente e si trasformino in un confronto in stile Guerra Fredda”. Questo sta già accadendo, scatenato dall’Egemone.
Quale sarebbe il seguito? Il tanto ricercato e strombazzato “disaccoppiamento”, che costringerebbe gli Stati in bilico ad “allinearsi più strettamente con una parte o con l’altra”. È di nuovo un “sei con noi o contro di noi”.
Quindi ecco a voi. Crudo, in carne e ossa – con minacce velate incorporate.
La guerra ibrida 2.0 contro il Sud globale non è nemmeno iniziata. Gli Stati in bilico, siete stati tutti avvertiti.
Pepe Escobar
Tradotto dall’inglese da Piero Cammerinesi per LiberoPensare
Pepe Escobar è un editorialista di The Cradle, redattore capo di Asia Times e un analista geopolitico indipendente esperto di Eurasia.
Dalla metà degli anni ’80 ha vissuto e lavorato come corrispondente estero a Londra, Parigi, Milano, Los Angeles, Singapore e Bangkok. È autore di innumerevoli libri; il suo ultimo è Raging Twenties.