lupi

Ormai sono virali.

Le accuse di buonismo intendo.
Non passa giorno che in ogni ambito, dalla televisione ai giornali, da Facebook a Twitter, non partano bordate di riprovazione verso gli avversari tacciati di questa ignobile empietà.
Dopo fascista e razzista, buonista è la nuova etichetta di condanna senza appello emessa dalla nuova neolingua, la guida al pensiero unico cui è indispensabile aderire, pena l’essere socialmente scomunicati.

Ma cosa si intende per ‘buonismo’?

La Treccani così lo definisce: “Ostentazione di buoni sentimenti, di tolleranza e benevolenza verso gli avversarî, o nei riguardi di un avversario”.
Pertanto il ‘buonista’ non è buono ma finge per opportunismo un’indole che non possiede.
Per qualche motivo, insomma – personale o politico – finge sentimenti che non gli appartengono.
Ora, a prescindere dal fatto che solo davanti all’azione sarebbe possibile ‘smascherare’ il ‘buonista proporrei di dar vita ad un altro neologismo: il ‘cattivismo’.
Se il buonista non è buono ma finge di esserlo, il ‘cattivista’ non è cattivo ma finge un temperamento che non gli è proprio.
Il cattivista, insomma, per parafrasare la Treccani, sarebbe portato ad una “ostentazione di cattivi sentimenti, di intolleranza e ostilità verso gli avversarî, o nei riguardi di un avversario” senza, tuttavia, essere cattivo.
Beh, mi sembra anche questo un format ampiamente rappresentato, in particolare sui social media, non trovate?

Personalmente devo confessare di essere stato decisamente infastidito dalle accuse di buonismo che mi sono state rivolte a causa della mia risoluta avversione nei confronti della polemica.
Vedete, il fatto è che credo fermamente nella totale e incondizionata inutilità di certe discussioni tra sordi cui assistiamo quotidianamente sui media e in particolare sui social.
Intendiamoci, non dico che non sia giusto o lecito ribattere a chi sostiene pervicacemente qualcosa di erroneo, ma, almeno per quanto mi riguarda, ciò ha senso solo se l’altra persona ha un atteggiamento interlocutorio, vale a dire se lascia spazio ad un contraddittorio, insomma se è disposto a prendere in esame la mia visione delle cose come io la sua.
Se l’altro è sicuro al 100% della sua verità l’impegno nell’agone dialettico è condannato sin dall’inizio all’inutilità.
In tal caso, a mio avviso, è meglio rettificare interiormente l’errore di pensiero e non perdere ulteriore tempo e fatica.
In ogni caso il rispondere a tono e l’inevitabile conseguente sequela di reciproci improperi non aiuterà certamente l’altro a modificare le proprie opinioni. Anzi.
Ebbene, per questo atteggiamento sono stato etichettato come ‘buonista’; come se il mio non polemizzare o discutere fosse una mera maschera di comodo.

Ora, mi consentano i miei accusatori di confessare loro in tutta sincerità di essere stato afflitto da sempre da un pessimo carattere collerico che mi ha talvolta fatto giungere ad un passo dal menar le mani e dall’aggredire gli imbecilli e i prepotenti di turno (tra le due non si sa quale sia la categoria più nefasta).
Tale temperamento, che ho avuto in sorte, si è però un bel giorno scontrato con una frasetta apparentemente leggiadra, ma in realtà pesante come un macigno, pronunciata da un essere di cui avevo la più grande considerazione: “tu dovrai diventare mite!”
“Mite io? Impossibile…”
“No, nulla è impossibile…” fu la risposta.

Certamente non si diventa miti dall’oggi al domani né lo si può tentare limitandosi ad affrontare gli eventi semplicemente come ci si presentano nel mondo esteriore. Si rende necessaria una visione più ampia, in modo da illuminare i fatti e le opinioni con i retroscena che li sottendono.
Una visione in cui il torto e la ragione iniziano a impallidire, a sfumare, a trascolorare in modi a volte impensabili.
Sono trascorsi decenni da allora e la meta è ancora ben lontana, tuttavia qualche passo è stato fatto.
Passi che i buontemponi che mi definiscono ‘buonista’ mettono a rischio, infiammando l’ira sopita ma non estinta che sonnecchia dentro di me.
A volte penso che sarebbe meglio diventare ‘cattivista’, in modo da non correre il rischio di far risvegliare il can che dorme.

Un po’ come nella storia del saggio e del serpente: ti avevo detto di non uccidere più gli abitanti dei villaggi ma non ti ho mai detto di non sibilare…”

Piero Cammerinesi

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