Quale bestia informe, giunto infine il suo tempo, avanza senza grazia per Hiroshima a prender vita?

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In occasione della conclusione del G7, l’oscuro sabba dei demoni che si è tenuto sull’altare dedicato alle vittime della guerra nucleare di Hiroshima, sto cercando di scrivere un vero e proprio saggio che descriva l’orribile rottura del pensiero e della vita che permette a questi “leader mondiali”, intrappolati in un incubo da loro stessi creato, di deplorare il bombardamento atomico di Hiroshima e di giurare con labbra contorte “mai più”, mentre allo stesso tempo tengono riunioni riservate per discutere come mettere in ginocchio la Russia con la minaccia di una guerra nucleare.

È possibile che questi leader, e i capi delle aziende che tirano i loro fili, siano così folli da credere di dover rischiare la propria distruzione per preservare il loro status e il loro potere?

Non c’è dubbio che questo è esattamente ciò che intendono fare. Non si può pensare che non siano così folli.

Permettetemi di citare innanzitutto il poema visionario di W. B. Yeats “The Second Coming” [La Seconda Venuta NdT] , scritto in un altro momento di enorme fallimento istituzionale e morale, che riassume perfettamente la crisi spirituale del momento che è al di là della capacità dei fetidi media e dei flaccidi politici di comprendere, per non parlare di rispondere.

La seconda venuta (1919)

Roteando e roteando nel cerchio che s’allarga
il falco non può udire il falconiere;
ogni cosa crolla; il centro non può reggere;
assoluta l’anarchia dilaga nel mondo,
dilaga la marea sporca di sangue, e ovunque
il rito dell’innocenza annega.

Ai migliori manca ogni certezza, mentre i peggiori
rigurgitano furia di passioni.
Qualche rivelazione di certo s’avvicina
la Seconda Venuta, di certo s’avvicina
la Seconda Venuta!

E non appena pronunciata
un’immensa immagine emanata dallo Spiritus Mundi
mi turba la vista: in qualche luogo tra le sabbie del deserto
una forma dal corpo di leone e dalla testa d’uomo,
occhi vuoti e impietosi come il sole,
avanza sulle lente cosce, mentre attorno
vorticano le ombre degli sdegnati uccelli del deserto

La tenebra ancora torna, ma ora so
che venti secoli d’un sonno di pietra
furono oppressione e incubo per una culla a dondolo,
e quale bestia informe, giunto infine il suo tempo
avanza senza grazia per Betlemme, a prender vita?

Vorrei aggiungere una sezione del mio saggio

“An American Psychopathocracy” [Una Psicopatocrazia Americana NdT] del febbraio 2019 per aggiornare la visione di Yeats.

Primavera, estate, autunno e inverno silenziosi

Siamo andati ben oltre i segnali di allarme che hanno ispirato milioni di persone a protestare nelle strade e a formare una controcultura negli anni Sessanta. Oggi le cose sono molto più gravi. Siamo di fronte alla prospettiva di una guerra nucleare, di un cambiamento climatico di tipo estintivo e di una concentrazione criminale della ricchezza. Eppure pochi sono in grado di alzare il culo e discutere di questi problemi con i loro amici e vicini, per non parlare di agire.

Forse stiamo attraversando un periodo di decadenza, come quello del tardo Impero Romano. È possibile che Donald Trump sia una versione da reality dell’imperatore Nerone, o forse una copia dell’imperatore Caligola? Di certo, la decisione di Trump di lanciare il nome della figlia Ivanka come candidata alla presidenza della Banca Mondiale si adatterebbe bene al tardo Impero Romano.

La casa di moda Viktor and Rolf (fondata dagli stilisti olandesi Viktor Horsting e Rolf Snoeren) fa di tutto per trovare immagini stimolanti che possano aprire nuovi sentieri nell’alta moda. Un manifesto di una delle loro mostre era così sorprendente che l’hanno scelto per la copertina di una retrospettiva.

 

 

Lo spettatore si trova di fronte a un’immagine confusa. Una ricca donna bianca appare come se fosse sdraiata su un letto, con una lussuosa coperta rossa che la avvolge e i capelli sparsi su un cuscino indulgente. È posizionata verticalmente rispetto al paesaggio alle sue spalle e culla un bambino dai capelli biondi nel braccio destro, alla maniera di una Madonna con bambino del Rinascimento. L’espressione blanda del viso suggerisce indulgenza sessuale, lusso e indifferenza.

Ma l’immagine di ricchezza si colloca su uno sfondo inquietante. La madre e il bambino sono in piedi davanti alle macerie di una casa demolita, forse a seguito dell’uragano Katrina o dell’uragano Michael.

La sua ricchezza e il suo privilegio sono resi più attraenti, più intriganti, dal loro contrasto con le sofferenze della gente comune che derivano dal crollo delle infrastrutture, dal cambiamento climatico e dalle politiche di austerità. Il fascino dell’immagine è che permette ai super-ricchi (e a coloro che li invidiano) di sperimentare le sofferenze della gente comune indirettamente, proprio come Maria Antonietta si godeva l’esperienza di essere un contadino comune costruendo una piccola fattoria sul terreno di Versailles.

Trarre piacere estetico da questa immagine è semplicemente un gesto psicopatico.

Dopo tutto, i ricchi dipendono dalle industrie estrattive e dai combustibili fossili per ottenere i loro grandi profitti trimestrali. La loro ricerca del profitto ha portato al cambiamento climatico che provoca tali catastrofi e ha reso impossibile per il cittadino generare la propria energia.

Si illudono di poter sopravvivere al cambiamento climatico acquistando bunker e vaste riserve di terra, un movimento vividamente descritto da Evan Osnos nell’articolo del New Yorker “Doomsday Prep for the Superrich” [“Preparazione al giorno del giudizio per i super ricchi”. ndT].

Questa cultura malata si espande in tutta la nostra società.

I giovani sono costretti a guardare pubblicità (che lo vogliano o meno) in cui ragazzi ricchi e annoiati se ne vanno in giro, persi in un mondo di narcisismo annoiato. Tali immagini vengono presentate loro come modelli di comportamento dai responsabili del marketing, suggerendo che l’unica via di fuga dalla disuguaglianza sociale sia l’adorazione di coloro che hanno di più.

Come Google e Facebook hanno spento la mente americana

Ma questa psicopatologia è semplicemente il risultato della decadenza ricorrente o c’è qualcos’altro in gioco? Gli estremi di dissonanza cognitiva che permettono a persone altamente istruite di ignorare allegramente il cambiamento climatico e il rischio di guerra nucleare suggeriscono che ci deve essere un altro fattore.

Forse il rapido progresso della tecnologia ha minato profondamente la nostra capacità di comprendere i cambiamenti che avvengono intorno a noi e ci ha ridotto a consumatori passivi di giochi, social media, pornografia e altre distrazioni incapaci di reagire alle crisi.

È possibile che il nostro cervello sia stato riprogrammato dagli smartphone che usiamo, così che andremo alla tomba con solo una vaga consapevolezza che qualcosa non va? Il vignettista Steve Cutts descrive questo mondo da incubo in cui il discorso è impossibile nella sua animazione “Ti sei perso nel mondo come me?”. La passività acquisita riguarda tutte le classi, sempre.

Il libro di Nicholas Carr, “Cosa fa Internet al nostro cervello: Le secche”, fornisce ampie prove scientifiche di come Internet stia ridisegnando il nostro cervello per rispondere a stimoli istantanei, rendendo così quasi impossibile una contemplazione complessa. Questa tendenza negativa si sta verificando proprio nel momento in cui la stessa tecnologia ci connette a livello globale in modo confuso e contraddittorio.

Siamo lasciati morire di sete in un oceano in cui ci sono informazioni ovunque, ma non una sola goccia da contemplare.

Carr suggerisce che la neuroplasticità del cervello gli permette di cambiare, spesso in senso negativo, promuovendo un comportamento rigido. I nostri neuroni vogliono che continuiamo a esercitare i circuiti che abbiamo formato navigando in Internet perché offrono uno stimolo seducente. Le risposte rapide a una ricerca su Google o a un post su Facebook stimolano i neuroni e rilasciano sostanze stimolanti piacevoli.

I circuiti neurali inutilizzati, un tempo impiegati per la complessa considerazione tridimensionale dell’esperienza personale a lungo termine e dei cambiamenti nella cultura e nella società, vengono spietatamente eliminati in un invisibile darwinismo neurale.

Il neurologo Norman Doidge scrive:

“Se smettiamo di esercitare le nostre abilità mentali, non le dimentichiamo semplicemente: lo spazio della mappa cerebrale per quelle abilità viene trasferito alle abilità che invece pratichiamo”.

Carr lo dice in modo sintetico:

“Quando si tratta della qualità del nostro pensiero, i nostri neuroni e le nostre sinapsi sono del tutto indifferenti. La possibilità di un decadimento intellettuale è insita nella malleabilità del nostro cervello”.

Ciò significa che le ore passate sugli smartphone, a esplorare i social media e a chattare con gli amici, hanno creato persone incapaci di comprendere l’entità dei rischi legati al cambiamento climatico o alla corsa agli armamenti che ha seguito la decisione del 2 febbraio dell’amministrazione Trump di abbandonare il Trattato sulle forze nucleari a raggio intermedio (INF). Pochi sono a conoscenza di queste catastrofi. Ancora meno si riuniscono con amici e familiari per discutere di questi sviluppi che porranno fine alla vita come la conosciamo.

Carr ne spiega il motivo:

“Decine di studi condotti da psicologi, neurobiologi, educatori e web designer giungono alla stessa conclusione: quando andiamo online, entriamo in un ambiente che promuove una lettura sommaria, un pensiero frettoloso e distratto e un apprendimento superficiale. È possibile pensare profondamente mentre si naviga in rete, così come è possibile pensare superficialmente mentre si legge un libro, ma non è questo il tipo di pensiero che la tecnologia incoraggia e premia”.

Se abbiamo un’intera popolazione impantanata nelle “secche“, nell’elaborazione rapida delle informazioni in cambio di una rapida stimolazione dei neuroni, è possibile che siano pochi, o nessuno, quelli in grado di comprendere la crisi che stiamo affrontando, per non parlare di formulare e sostenere una soluzione?

Lo psicopatico dietro lo psicopatico

Ma c’è un altro tassello in questo puzzle. Non sembra giusto che una manciata di avidi miliardari a cui non importa nulla dell’umanità sia responsabile della nostra condizione attuale.

È possibile che se ci togliamo tutte le maschere e scrutiamo dietro le tende, scopriamo che la tecnologia ha preso il controllo dell’intero sistema di cose?

Sì, il supremo psicopatico che suona il flauto per quei miliardari mentre ci conducono alla rovina non è un mostro orribile, ma consiste piuttosto nelle reti che collegano decine di migliaia di supercomputer in tutto il mondo. Fanno le fusa dolcemente mentre calcolano fino alla decima cifra decimale come massimizzare il profitto ogni giorno, ogni minuto e ogni secondo.

Questi supercomputer prendono le decisioni più importanti per JPMorgan Chase, Goldman Sachs, Barclays e Bank of America, perché sono in grado di fare qualcosa che nessun essere umano può fare: Possono valutare il valore monetario dell’intera Terra ed estrarre profitti in perfetto accordo con gli algoritmi che vengono loro assegnati, senza alcuna remora etica.
I banchi di supercomputer accatastati dietro le banche d’investimento percepiscono Bill Gates e Jeff Bezos solo come fastidiose appendici nella loro ricerca del profitto finale e immediato.

Non dobbiamo aspettare che i supercomputer raggiungano la coscienza per perdere il controllo della nostra civiltà. È sufficiente che i computer stabiliscano le priorità della nostra società in base al profitto, senza tenere conto delle esigenze dell’ecosistema o dell’umanità stessa. E se i social network, i video e i giochi ridisegnano le reti neurali del nostro cervello, incoraggiando il pensiero a breve termine guidato dalla dopamina, i computer prenderanno il sopravvento, e non avranno altra scelta se non quella di prendere il sopravvento, molto prima di aver sviluppato una coscienza.

Noi umani non abbiamo perso completamente la testa, ma abbiamo delegato il lavoro sporco ai supercomputer senza nemmeno accorgercene.

In questa terra, gli orbi sono condotti verso il precipizio da un cieco con computazione parallela.

Emanuel Pastreich

Tradotto dall’inglese da Piero Cammerinesi per LiberoPensare

Fonte

Immagine di copertina: William Blake, Nabucodonosor


Emanuel Pastreich è stato presidente dell’Asia Institute, un think tank con uffici a Washington DC, Seoul, Tokyo e Hanoi. Pastreich è anche direttore generale dell’Institute for Future Urban Environments.
Pastreich ha dichiarato la sua candidatura alla presidenza degli Stati Uniti come indipendente nel febbraio 2020.

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