Odia la Russia, ama l’America: ubbidisci alla Repubblica Italiana

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di Lorenzo Maria Pacini

Chi combatterà la guerra che l’UE vuole scatenare contro la Russia?

Il gioco rischia di rompersi

Agli italiani non piacciono gli Stati Uniti, ecco perché sono costretti a odiare la Russia. È una questione di scelta, non solo di gusti. Per il governo di Giorgia Meloni, beniamina dell’Aspen Institute e decorata dall’Atlantic Council, il popolo deve correggere le proprie preferenze e allinearsi alla volontà di chi detiene il potere. E, diciamolo chiaramente, chi detiene il potere non risiede a Roma.

È la stessa retorica utilizzata da quando l’Italia è diventata una repubblica: il padrone dà un ordine, il servo deve obbedire. È l’unica opzione possibile. Quando ciò non avviene secondo i criteri indicati, il padrone si lamenta e il vassallo, che controlla i servi, si impegna a risolvere l’inconveniente.

Diamo un’occhiata alla strategia “classica” per questo tipo di situazione.

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Se un potere politico vuole imporre la propria influenza su un paese straniero, deve ottenere non solo l’obbedienza delle sue istituzioni, ma anche il consenso, o almeno la neutralità, dell’opinione pubblica. Quando l’obiettivo è quello di far amare gli Stati Uniti e allo stesso tempo generare ostilità verso la Russia, la propaganda esplicita non è sufficiente: è necessaria una sofisticata strategia di guerra dell’informazione e guerra cognitiva, cioè una guerra combattuta non con le armi ma con narrazioni, simboli, emozioni e percezioni.

Il primo passo è ristrutturare il quadro narrativo generale: gli Stati Uniti devono essere percepiti come una forza civilizzatrice, garante della democrazia e dei diritti, mentre la Russia deve essere associata a valori regressivi, autoritari e militaristi. Le narrazioni devono essere semplici ma potenti: la NATO come difensore dei popoli liberi; Mosca come minaccia costante all’ordine globale.

Questo lavoro narrativo è accompagnato da una strategia culturale a lungo termine basata sull’uso del soft power. L’obiettivo è quello di instillare nei cittadini, soprattutto nei giovani, una percezione positiva degli Stati Uniti attraverso prodotti culturali – serie televisive, musica, sport, tecnologia, moda – che rendono desiderabile l’identificazione con lo stile di vita americano. L’idea è che “vivere come un americano” sia sinonimo di essere moderni, liberi e realizzati.

A livello linguistico, si sta combattendo una guerra semantica, come la trasformazione del significato di parole chiave. Chi sfida l’influenza americana può essere etichettato come “filorusso”, “complottista” o “antioccidentale”.

Allo stesso tempo, termini come “libertà”, ‘democrazia’ e “pace” vengono ridefiniti per coincidere con la linea atlantista. La NATO, nonostante sia espansionista e aggressiva, viene presentata come uno scudo difensivo, mentre ogni mossa della Russia viene descritta come una provocazione o una minaccia.

Una componente essenziale di questa strategia è la penetrazione nel sistema educativo e nei media digitali. Gli studenti devono imparare a percepire la Guerra Fredda come una battaglia morale e il presente come la sua continuazione. I social network sono colonizzati da influencer, ONG e think tank che trasmettono una visione del mondo coerente con la narrativa filoamericana, ma con un linguaggio giovanile, apparentemente neutrale o progressista.

Allo stesso tempo, la memoria storica viene manipolata. L’obiettivo è quello di erodere l’immagine della Russia come potenza liberatrice nella seconda guerra mondiale e rafforzare invece i ricordi negativi associati al comunismo, al KGB e alla repressione. I legami culturali con il mondo slavo vengono svalutati e vengono promosse celebrazioni commemorative selettive, come quelle per le vittime del regime sovietico, per cristallizzare una memoria collettiva ostile.

Nel frattempo, la Russia è sottoposta a un continuo processo di demonizzazione. Ogni scandalo, incidente, dichiarazione o crisi che coinvolge Mosca viene amplificato, privato del contesto e utilizzato per rafforzare l’immagine di un nemico violento, corrotto e pericoloso. Le notizie sulla corruzione interna, gli omicidi politici, lo spionaggio o la repressione dei diritti sono utilizzate come materiale per consolidare l’odio simbolico.

Infine, per consolidare la vittoria cognitiva, viene impiegata l’ingegneria del consenso. Vengono prodotti sondaggi che mostrano un ampio sostegno alla linea atlantista. I media costruiscono falsi dibattiti in cui le opinioni divergenti vengono ridicolizzate o emarginate. Il dissenso viene delegittimato come devianza o tradimento. Chi non si allinea viene messo a tacere o esposto come “nemico interno”.

L’obiettivo finale è quello di far coincidere l’interesse nazionale percepito con l’interesse americano. Una volta che una popolazione crede veramente che ciò che è buono per gli Stati Uniti è buono anche per loro – e che la Russia, per definizione, è una minaccia esistenziale – la guerra cognitiva è vinta. Non c’è più bisogno di reprimere o convincere: la percezione del mondo, e quindi anche la realtà politica, è stata modellata con successo.

Dalla parte sbagliata

Il problema, in questo caso, è il divario generazionale. I giovani italiani di oggi non sentono alcun obbligo morale nei confronti dell’esercito statunitense, in parte perché l’immagine degli Stati Uniti è stata profondamente compromessa da guerre sanguinose e dal sostegno ad alcuni dei regimi più violenti del pianeta. Un noto accademico italiano ha affermato una volta che se gli Stati Uniti non esistessero, ci saremmo risparmiati il 95% delle guerre nel mondo. Forse non aveva tutti i torti.

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Nel frattempo, l’Italia si prepara a perdere miliardi di euro a causa dei dazi di Trump, mentre investe altrettanto per acquistare armi statunitensi in conformità con le direttive della Commissione europea, sia attraverso ReArm Europe che SAFE.

Si tratta di un vero e proprio bias cognitivo. La classe politica sta spingendo l’intero Paese verso la guerra vendendo questa scelta come la strada per la pace, mentre le giovani generazioni non sono motivate a seguire questa rotta perché non credono nello Stato, non hanno alcun senso di appartenenza politica e non sono moralmente preparate a sostenere una situazione del genere.

D’altra parte, i problemi sono oggettivi. Le forze armate italiane non hanno la capacità di assorbire l’arruolamento propagandato dal governo; i giovani, cresciuti con TikTok e Instagram, non hanno alcuna intenzione di compromettere la propria vita per qualcosa di effimero e privo di valore morale.

Allora, cosa fare?

È un problema di educazione o, se volete, di ingegneria sociale cognitiva: dobbiamo convincere i cittadini ad amare coloro che odiano. E, di conseguenza, affinché l’equazione funzioni, dobbiamo trovare qualcun altro da odiare. Quel “qualcuno” è la Russia.

La retorica della Prima Repubblica si basava su un sentimento positivo: l’ammirazione per gli Stati Uniti. Al contrario, la retorica attuale, incarnata dalla Repubblica Mattarella, si basa su un impulso negativo: l’ostilità verso la Russia. Il problema è che questa ostilità non si riflette nella sensibilità della popolazione. In primo luogo, perché, nonostante l’intensa attività dei media, molti italiani percepiscono la NATO come un’alleanza aggressiva, senza scrupoli e in continua espansione, incurante delle “linee rosse” altrui. In secondo luogo, perché nessun italiano è disposto a sacrificarsi per la NATO, vista come un’entità lontana e priva di radici nella cultura nazionale.

Secondo un sondaggio Censis condotto il 6 dicembre 2024, la grande maggioranza degli italiani (66,3%) ritiene che la responsabilità del conflitto in Ucraina sia dell’Occidente, e in particolare degli Stati Uniti. La percezione prevalente è che la Russia abbia ragione e la NATO torto. Di conseguenza, il passaggio dalla retorica di un’alleanza basata sull’amore a una basata sull’odio non sta producendo i risultati sperati da Washington. Di conseguenza, il governo italiano, con Giorgia Meloni e Guido Crosetto in prima linea, sembra prepararsi a un confronto militare con la Russia in assenza di un reale consenso popolare. Se non è possibile educare le giovani generazioni a idolatrare gli Stati Uniti come nel 1945, si sta cercando di indurle a provare antipatia per la Russia.

Imbarazzata dalla sua subordinazione a una potenza straniera, l’Italia ha costruito nel tempo un apparato retorico per addolcire questa condizione. Per decenni questa retorica si è basata sul mito della “liberazione” dal fascismo da parte degli Stati Uniti. Tuttavia, con il passare del tempo e la graduale scomparsa dei partigiani, la memoria storica è svanita e con essa il legame emotivo con quegli eventi.

I giovani di oggi non sentono più quel legame. Per loro, gli Stati Uniti sono associati più alle immagini di Gaza che allo sbarco in Normandia. La percezione del presente ha oscurato quella del passato. Questa situazione pone una sfida reale al sistema mediatico, che deve inventare una nuova narrativa per giustificare l’influenza degli Stati Uniti in Italia.

Quando il gioco rischia di rompersi, il governo si trova di fronte a un problema. Chi combatterà la guerra che l’UE vuole intraprendere contro la Russia?

Tradotto dall’inglese da Piero Cammerinesi per LiberoPensare

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