Alice nel Paese delle Meraviglie: Mondi inventati o Realtà intuite?

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di Marco Morrone

 

Nate per preservare il ricordo di un mondo spirituale sparente allo sguardo dell’anima umana, le fiabe testimoniano ancora oggi la presenza di una Superiore Realtà delle Cause, di cui il nostro mondo materiale è soltanto l’ombroso riflesso. Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie (1865) e Alice attraverso lo Specchio (1871) di Lewis Carroll sono tra quelle che, nel repertorio favolistico mondiale, più di altre ne recano l’impronta. I due racconti del genio inglese si propongono segretamente al Lettore come testi d’iniziazione, capaci di ricondurre la sua anima, dopo la caduta nel regno dualistico della materia, all’altezza e alla logica vivente dello Spirito.   

 

D. Revoy, "Alice in Wonderland"
D. Revoy, “Alice in Wonderland”

Pochi sanno che Lewis Carroll, padre di Alice nel Paese delle Meraviglie e Attraverso lo Specchio, nella vita fu un logico e matematico. (Sono in tutto tredici le opere divise tra Matematica, Logica e Geometria composte da Lewis Carroll – al secolo reverendo Charles Lutwidge Dodgson – nell’arco della sua vita).

Non può perciò non sorprendere il quasi assoluto silenzio degli studiosi, nell’esegesi e nel lavoro critico intorno alle due opere, di quello che costituisce l’aspetto centrale della sua personalità, che in fondo altro non è che l’essenza stessa della sua anima, vale a dire il tono interiore del suo pensiero. Mi riferisco al fatto che il reverendo Dodgson viveva in un’atmosfera di puri pensieri, di puri enti e pure idealità. In quello che, mutuando un’espressione steineriana, viene definito pensiero libero dai sensi. (Vale la pena ricordare che sul frontone dell’Accademia Platone fece incidere il motto «Non entri chi non è geometra»).

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Lewis Carroll logico e matematico doveva dunque fornire la chiave di lettura della sua breve ma sfolgorante produzione narrativa. In queste coordinate biografiche gli studiosi di ogni estrazione e ceto avrebbero dovuto rintracciare le coordinate logiche e di senso della poiesi. Così purtroppo non è stato. Alice è stata e continua a essere per tutti solo e soltanto una favola. Bellissima, certo. Avvincente, anche, ma soltanto una favola. Una fantasia. Un sogno, come quello dal quale la protagonista si risveglia dopo le sue incredibili avventure. Nell’oltre secolo e mezzo trascorso dalla pubblicazione, in una forma o nell’altra – libro, teatro, cinema, fumetto –, un gran numero di persone in tutto il mondo ha fatto la conoscenza della piccola eroina inglese e dei suoi stravaganti amici, ma in nessuno è sorto il sospetto che il Paese delle Meraviglie e l’universo Al di là dello Specchio non sono mondi inventati, allestimenti scenici messi in piedi dalla fantasia del geniale del Reverendo per far vivere alle sue piccole amiche in un pomeriggio d’estate eccentriche avventure, ma realtà intuite. Sì, intuite, dunque realiReali quanto il reale che ogni giorno, dal risveglio all’attimo prima di addormentarci, tutti noi abitiamo. Di più: proprio ciò che conferisce al nostro reale lo statuto ontologico di realtà.

Tra le moltissime scene delle fiabe suscettibili di dimostrazione logica (di cui mi occuperò in un più ampio commentario logico-filosofico sui segreti delle opere di Carroll), ne propongo una particolarmente emblematica. Compare nel secondo capitolo di Attraverso lo Specchio, intitolato Il giardino dei fiori viventi.

Prima di trascriverla, mi preme ricordare al Lettore che i mondi di Alice sono interamente fondati sul paradosso e sul nonsense.

« – Le voglio andare incontro,  disse Alice, perché, sebbene i fiori fossero abbastanza interessanti, aveva idea che sarebbe stata cosa ben più grandiosa conversare con una vera Regina.   

 

 Non puoi proprio farlo – disse la Rosa; 

Ti consiglio di camminare nell’altra direzione. 

 

Ad Alice parve un’insensatezza; non disse niente ma subito si avviò verso la Regina Rossa. Con sua sorpresa la perse di vista in un attimo e si trovò a camminare di nuovo in direzione della porta di ingresso. Un po’ irritata, arretrò e, dopo aver guardato dappertutto in cerca della Regina (che finalmente avvistò parecchio in distanza), pensò che stavolta avrebbe provato l’espediente di camminare nella direzione opposta. Con pieno successo. Non aveva ancora camminato per un minuto che si trovò faccia a faccia con la Regina Rossa e vicinissima alla collina che aveva lungamente tentato di raggiungere. »

Dopo aver conversato con i fiori del campo, l’attenzione di Alice è catturata dalla presenza sulla scena della Regina Rossa. La nostra eroina decide di raggiungerla e lo comunica alla Rosa, la quale però stronca sul nascere il suo desiderio: se proverà ad andarle incontro sarà impossibile andarle incontro. Andare incontro a qualcuno, in quello strano mondo che è l’universo al di là dello Specchio, è infatti qualcosa che non si può proprio fare. Se vuole raggiungerla, suggerisce la Rosa, la scelta più saggia è camminare nella direzione opposta, cioè allontanarsi da lei. Ad Alice il consiglio giunge assurdo, perciò lo ignora. A suo discapito: fatti pochi passi la perde infatti di vista, trovandosi a camminare ancora una volta in direzione della casa. La bambina si guarda allora intorno e dopo un po’ la scorge in lontananza. Confusa più che mai, decide di seguire il consiglio della Rosa. Si allontana nella direzione opposta e dopo un minuto eccola ritrovarsi faccia a faccia con lei.

Enucleiamo dalla scena il principio paradossale che ha ispirato Carroll“Allontanarsi è avvicinarsi”. Diamone la dimostrazione.

Immaginiamo una scala. Immaginiamo che ai piedi della scala vi sia un uomo, che chiameremo “Osservatore 1” (nel grafico OSS. 1). Immaginiamo poi che in cima vi sia un secondo uomo, che chiameremo “Osservatore 2” (OSS. 2). Immaginiamo infine che a metà della scala vi sia un terzo uomo, che chiameremo “Osservatore 3”. (OSS. 3). I primi due uomini, ai piedi e in cima, sono fermi, non si muovono dalle loro posizioni. Il terzo uomo, l’Osservatore 3, è invece in movimento, perché è colui che sale la scala.

Abbiamo dunque una doppia coppia di opposti: Osservatore 1 e Osservatore 2 rispetto all’Osservatore 3, perché i primi due sono fermi e il terzo in movimento; la seconda coppia di opposti è formata invece dall’Osservatore 1 e dall’Osservatore 2, perché uno è ai piedi della scala (basso) e l’altro in cima (alto).

Immaginiamo ora che il Soggetto-Osservatore 3 inizi a salire la scala. Cosa vede l’Osservatore 1 dal suo punto di vista ai piedi della scala? Vede il Soggetto-Osservatore 3 allontanarsi. Cosa vede invece l’Osservatore 2 dal suo punto di vista in cima? Vede il Soggetto-Osservatore 3 avvicinarsi. Osservatore 1 e Osservatore 2 vedono dunque movimenti opposti, l’1 allontanarsi il 2 avvicinarsi. Osservatore 1 e Osservatore 2 hanno una visione parziale della realtà, perché 1 vede soltanto allontanarsi e 2 soltanto avvicinarsi. Questi sono i due punti di vista relativi. Dire relativo equivale a dire parziale.

Domandiamoci ora: salendo la scala, cosa vede invece il Soggetto-Osservatore 3? Il Soggetto-Osservatore 3 se guarda indietro vede allontanarsi dall’Osservatore 1, esattamente quello che vede l’Osservatore 1; se guarda avanti vede invece avvicinarsi, esattamente quello che vede l’Osservatore 2. Dove dunque questi due punti di vista relativi e opposti, parziali, si fondono? Chi compie la sintesi? Il Soggetto-Osservatore 3, cioè colui che è in movimento, colui che sale la scala. Il Soggetto-Osservatore 3 infatti non vede solo allontanarsi O avvicinarsi (aut-aut) come l’Osservatore 1 e come l’Osservatore 2 (punti di vista parziali e relativi, opposti), ma vede contemporaneamente (et et) allontanarsi E avvicinarsi (punto di vista unitario, intero e assoluto).

Dunque il Soggetto-Osservatore 3 salendo contemporaneamente si allontana e si avvicina: si allontana dall’Osservatore 1 e si avvicina all’Osservatore 2. Con lo stesso e unico passo fa due movimenti opposti, allontanarsi dai piedi della scala e avvicinarsi in cima. Fa un movimento e un contro-movimento. Ha dunque una visione totale. In termini assoluti, il Soggetto-Osservatore 3, salendo la scala, “Allontanandosi si avvicina”. Allontanarsi è avvicinarsi.

Il consiglio dato dalla Rosa ad Alice è dunque corretto, perché nell’Assoluto – e ora abbiamo la dimostrazione che le fiabe di Carroll sono ambientate nell’Assoluto, e che l’Assoluto esiste –, nella realtà del mondo al di là dello Specchio allontanandosi da qualcuno ci si avvicina a lui. (O a lei, come nel nostro caso).

Vi è ora da far notare l’aspetto forse più importante della dimostrazione offerta, certamente quello più sorprendente. L’esempio della scala è attinto dalla realtà quotidiana, riguarda un elemento a tutti noto, qualcosa che ognuno di noi utilizza. Non abbiamo dunque inventato nulla. Abbiamo solo derivato, attraverso un’operazione di pensiero, quello che è sotto gli occhi di tutti, ma che solo il pensiero può vedere. L’Assoluto non lo abbiamo insomma ipotizzato o fantasticato: l’abbiamo fatto sorgere dal Relativo, dalla nostra stessa realtà. Attraverso un vivente processo dimostrativo l’abbiamo lasciato parlare, parlare al nostro Spirito, al nostro Pensiero, e lui ci ha rivelato, per usare un’espressione goethiana, il suo «manifesto segreto».

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Quanto detto rivela dunque la compresenza nel nostro mondo di due logiche, opposte tra loro e una dentro l’altra: una logica fondata sui principi aristotelici (relativi) di identità, non-contraddizione (aut aut) e del terzo escluso; una seconda logica fondata sui principi eraclitei ed hegeliani (assoluti) di universale identità, paradossalità e risoluzione della contraddizione (et et).

Le realtà dei mondi di Alice esaltano proprio questa seconda dimensione, nella quale degli opposti viene costantemente fatta sintesi. Le realtà dei mondi di Alice sono a tutti gli effetti realtà eraclitee-hegeliane. Attraverso la scena riportata e l’esempio della scala abbiamo infatti dimostrato che l’Assoluto non è separato dal Relativo, l’Immanente dal Trascendente, oltre e altro da esso come molte religioni tradizionali insegnano, tra le quali le tre monoteiste – Cattolicesimo, Ebraismo, Islamismo. No, l’Assoluto-Trascendente è il Relativo-immanente e viceversa:

«Non vi è alcun Nirvana tranne dov’è Samsara; non c’è Samsara tranne dov’è Nirvana, poiché la condizione dell’esistenza non è di carattere reciprocamente esclusivo. Pertanto, è detto che tutte le cose sono non duali come lo sono Nirvana e Samsara.» (D. T Suzuki, trad., Lankavatara Sutra, in Alan Watts, Diventa chi sei).

È bene chiarire che il concetto di Samsara corrisponde a quello di Relativo-Immanente – nostra realtà – e Nirvana a quello di Assoluto-Trascendente – realtà spirituale. Dunque il Buddhismo Mahayana, riecheggiando la filosofia induista contenuta nell’Advaita Vedanta – “Advaita” in sanscrito vuol dire “non duale, non scisso” –, arriva ad affermare che per l’uomo pienamente illuminato «Samsara è Nirvana».

Il contenuto del sutra mahayanico trascritto è da imputarsi alla straordinaria capacità intuitiva dell’ariano antico, intuizione che manifestava tanta potenza di Verità da non richiedere né stimolare nel soggetto l’ulteriore processo logico-dimostrativo. La dimostrazione resa ci consegna la prova che Carroll disponeva della loro stessa forza interiore di pensiero e visione. Conferma che il Reverendo è stato ed è tutt’oggi un Maestro, capace di assolvere attraverso la creazione artistica la celebre prescrizione di Novalis enunciata nei Frammenti:
«Distruggere il principio di contraddizione: ecco forse il compito supremo della logica superiore.» 

Fonte


Marco Morrone, 39 anni, cosentino.
Scrittore, logico, filosofo e libero ricercatore spirituale.

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