RACCON08 1

Dopo trent’anni nel settore dei biomedicali e una vita professionale costellata di successi, riconoscimenti nazionali e internazionali, di incalcolabili guadagni, l’Ingegnere e imprenditore Giacomo Sannazzaro, fiorentino di nascita, sentì maturare dentro di sé una decisione irrevocabile e sconvolgente: spogliarsi della persona che era stato fino a quel giorno e dedicare l’ultima parte della sua esistenza alla ricerca spirituale e alla conoscenza.

In una seduta straordinaria del consiglio di amministrazione della “Artex S.p.A.”, la società da lui fondata nel 1989 in provincia di Piacenza e diretta dallo stesso anno, senza che agli altri soci fosse stato preventivamente comunicato, dichiarò che di lì a qualche settimana avrebbe dato avvio alla procedura di dismissione del suo pacchetto azionario, dimettendosi contestualmente dalla carica di Amministratore Delegato.

Quando fece l’annuncio l’Ing. Giacomo Sannazzaro aveva appena compiuto sessantaquattro anni.

Tre mesi dopo insieme alla sua famiglia – la moglie Teresa, i due figli gemelli Mario e Matteo, da poco laureatisi in “Conservazione e restauro di beni culturali” – l’Ing. Sannazzaro lasciò l’Emilia, dove viveva, per fare ritorno nella sua Firenze.

Sul lungarno degli Acciaiuoli i genitori, papà Romeo e mamma Caterina, ormai scomparsi, al civico 8 avevano acquistato nel 1936 un elegante appartamento nel quale avevano trascorso tutta la loro lunga esistenza e dove il giovane Giacomo, figlio unico, era nato e cresciuto.

Al compimento della maggiore età, conseguita la maturità scientifica con il massimo dei voi, terminati gli obblighi di leva, Giacomo, seguendo una vocazione precoce, decise di lasciare Firenze e trasferirsi a Milano per studiare Ingegneria al Politecnico.

Lì visse i successivi otto anni della sua vita, una vita di studi intensi e pochissime distrazioni.

Si laureò in anticipo sui tempi e con il massimo dei voti. Conclusi gli studi, una storica e prestigiosa società milanese del settore biomedicale, che seguiva i suoi successi accademici già da due anni, gli offrì un importante ruolo direttivo nel suo settore Sviluppo e Ricerca. Il neoingegnere decise di accettare il lavoro. (Il suo primo contratto fu un contratto che per molti altri è l’ambizione e il compimento di una lunga vita professionale).

Tre anni dopo, però, stanco di lavorare per qualcuno, qualcuno che spesso contrastava le sue iniziative e intuizioni, decise di scommettere tutto sulle proprie idee, che giudicava rivoluzionarie, e di metter su un’azienda propria. Nacque così la “Artex S.p.A.”, leader indiscussa nel campo delle innovazioni biomediche.

Nel 2002, dopo una lunga malattia, all’età di ottantaquattro anni venne a mancare l’amata mamma Caterina (papà Romeo era morto tre anni prima).

Fu quello un momento decisivo  nella vita dell’Ingegnere, un momento nel quale iniziarono a sorgere nella sua anima domande prepotenti la cui soluzione divenne sempre più urgente e necessaria. Sentiva che non poteva più vivere senza.

 

 

Crediamo, ma possiamo anche dire di esserne certi, che la decisione di rivoluzionare la sua vita nacque il giorno in cui, dopo le esequie, tornò nella sua prima casa sul lungarno e lì trovò, sul tavolo del soggiorno, la consunta Bibbia di mamma Caterina al cui interno era conservata una riproduzione fotostatica del dipinto di Guido Reni “L’Arcangelo Michele schiaccia Satana”.

Divenuto proprietario della casa, negli anni l’appartamento fu fatto oggetto di accurati restauri e ammodernamenti, così da rispondere alle  esigenze di una famiglia moderna di quattro persone.

In quella casa lungo l’Arno l’Ing. Sannazzaro e la sua famiglia iniziarono la loro nuova vita.

Quando scoppiò la pandemia di “boliviana”, un virus molto aggressivo che colpiva le vie respiratorie portando nei casi più gravi a una morte per soffocamento e che dal Sudamerica, dove si era originato per cause non ben comprese, si era poi diffuso in tutto il mondo con rapidità sorprendente, quando anche in Italia scoppiò la pandemia la famiglia Sannazzaro era appena rientrata nella loro casa di Firenze da un viaggio di due settimane negli Stati Uniti.

Come ogni altra famiglia italiana e del mondo, a seguito dei provvedimenti urgenti adottati dai Governi nazionali per contrastare la diffusione del virus, i Sannazzaro furono costretti alla quarantena in casa per lunghi mesi. Nessuno di loro sembrava però aver contratto il virus (non presentavano la relativa sintomatologia), nonostante il soggiorno negli Stati Uniti, a New York, dove il virus aveva colpito già centinaia di migliaia di abitanti, li avesse esposti più di ogni altro italiano al pericolo del contagio.

Giornalmente e con grande attenzione l’Ing. Sannazzaro seguiva lo sviluppo degli eventi, gli interventi televisivi degli esperti e gli articoli che di ora in ora apparivano in rete per informare, riflettere e comprendere il difficile momento.

Per la storia che vi sto raccontando, per quello che poi di straordinario accadde, uno di questi giorni fu particolarmente importante, diremo decisivo. Quel giorno accadde questo.

Una sera dopo cena l’Ingegnere, seduto alla scrivania del suo studio, seguiva senza partecipare un acceso confronto su un gruppo Facebook tra alcuni medici, scienziati e infettivologi appartenenti a correnti di pensiero diverse, spesso opposte. La discussione sembrava infinita, ognuno dei partecipanti sciorinava conoscenze profondissime e numeri, tabelle e interpretazioni, richiamava a sostegno della propria tesi eventi del passato e casi reali. Ogni commento e opinione sembrava all’Ingegnere che, invece di chiarire, non facesse altro che complicare ancor di più la questione; che invece di dare un ordine e un’unità al pensiero, questo venisse scomposto in migliaia e migliaia di schegge e frammenti fino a   polverizzarsi. Quel confronto serrato gli rievocò l’episodio mitologico della seconda fatica di Ercole, quella nella quale l’eroe è chiamato ad affrontare l’Idra di Lerna, il leggendario mostro dotato di nove teste: teste che, come sa chi conosce il mito, tagliatane una dal moncherino ricresceva raddoppiata e di cui una soltanto, la centrale, era immortale.

“Come si può capire qualcosa così?” si chiedeva inquieto l’Ingegnere. “Tutto quel che viene detto sembra corretto, indiscutibile, condivisibile al massimo grado: perché allora mi sento più confuso di prima?”

Continuò a leggere per altre due ore i commenti che, instancabili e precisissimi, si moltiplicavano sullo schermo del suo cellulare. Poi, a notte ormai alta, da solo nel suo studio, accade quello che senza timore possiamo definire un miracolo, si manifestò a lui l’intuizione risolutiva.

“NO!” urlò a se stesso Giacomo Sannazzaro, quasi sconvolto.

“BASTA! BASTA! L’IDRA SI UCCIDE SOLTANTO SCHIACCIANDO LA SUA TESTA IMMORTALE!”

In quel preciso istante, attraversato da un lampo di luce improvvisa, l’Ingegnere capì tutto: di colpo tutto gli fu chiaro, tutto gli apparve logico, tutto evidente, ogni commento e opinione che aveva letto spiegabili, pieni di senso, razionali. Era sicurissimo d’aver trovato la chiave di volta.

Si alzò dalla scrivania, spense la luce della lampada e se ne andò a letto eccitato e commosso.

Per quanto tentasse di addormentarsi, di riposare qualche ora (in piena notte non poteva certo dar seguito alla sua idea), per quanto tentasse la straordinarietà di quanto aveva intuito e compreso non gli consentì di chiudere occhio.

Allo scoccare delle sette, impaziente e con sua moglie che ancora dormiva, balzò fuori dal letto.

Andò in cucina e si preparò un caffè, che bevve frettolosamente, poi iniziò a fare un giro di telefonate tra le sue conoscenze di tutta una vita.

Il giorno seguente due medici amici vennero a casa dei Sannazzaro per fare i tamponi e i prelievi a tutta la famiglia.

Quarantotto ore dopo, di prima mattina, grazie a un canale privilegiato, l’Ingegnere ebbe il responso.

“Ne ero certissimo” disse raggiante tra sé. “Quello che ho scoperto ora dimostriamolo al mondo intero”.

Mentendo alla famiglia, Giacomo Sannazzaro decise di tenere per sé l’esito dei risultati e impose (diciamolo senza mezzi termini: pagò profumatamente) impose con il denaro ai medici che avevano fatto il prelievo e agli operatori di laboratorio che li avevano eseguiti di mantenere riservata la notizia della loro positività.

Quello stesso pomeriggio, il pomeriggio della comunicazione dell’esito, l’Ingegnere lo trascorse interamente al telefono: chiamò prima la sua Banca; poi tutti i medici che conosceva e di cui si poteva fidare; chiamò infine tutte le aziende che costruivano gli apparecchi che gli servivano per confermare la sua idea. Formò così una squadra di ben cinquanta persone, alle quali disse di tenersi pronte: di lì a qualche giorno sarebbero partiti con lui per una destinazione che l’Ingegnere non volle specificare.

Alla sua famiglia che gli chiese preoccupata cosa stesse accadendo, l’Ingegnere disse soltanto:

“Non dovete temere nulla, né per me né per voi. Rimanete in quarantena e continuate a rispettare le regole, indossate sempre la mascherina e i guanti quando uscite. Io tra un paio di giorni partirò, ma tra un mese al massimo rientrerò, ve lo prometto”.

I figli gli chiesero se potevano almeno sapere per dove stesse partendo. Laconicamente, ritroso, il padre rispose loro: “Vado nell’entroterra siciliano. Di più non posso dirvi. Abbiate fiducia in me”.


Due giorni dopo l’Ingegnere e la sua squadra presero un volo diretto a Palermo. Dal capoluogo, in pullman, proseguirono verso la cittadina di N.

Ad attenderli c’erano il Sindaco e l’Assessore alla Sanità del Comune, i quali, quando l’Ingegnere li aveva contattati una settimana prima, si erano subito messi a disposizione, garantendo massima collaborazione.

La notizia dell’arrivo in città di quella task force, com’era prevedibile, allarmò grandemente la popolazione, nella quale si contavano fino a quel giorno 187 casi di contagio su 5003 residenti complessivi.

In un’affollata conferenza stampa tenuta via web, il Sindaco, affiancato dall’Ingegnere, comunicò alla popolazione quello che sarebbe accaduto dal giorno successivo:

“Da domani, casa per casa, famiglia per famiglia, l’équipe dell’Ing. Sannazzaro eseguirà i tamponi e i prelievi per verificare la presenza della “boliviana” nella nostra cittadina, così da avere un censimento completo dei positivi e dei negativi e poter agire di conseguenza a tutela della salute di tutti”.

Resa la comunicazione, il Sindaco lasciò spazio alle domande dei giornalisti.

L’inviato di un quotidiano locale, il Dott. Camilli, un penna notissima e stimata in città, fu il primo a prendere la parola. Rivolgendosi all’Ingegnere, chiese:

“Ing. Sannazzaro, ci può spiegare come mai, tra tanti comuni italiani, lei ha scelto proprio la città di N. per fare eseguire tamponi e prelievi? Questa operazione, interamente privata da quel che sappiamo, deve esserle costata non poco. Dalle ricerche da me svolte non è emerso alcun legame con la nostra comunità”.

“La ringrazio per la domanda, Dott. Camilli. La riposta è molto semplice: ho scelto a caso”.

Il giornalista, sorpreso come gli altri dalla riposta, chiese sconcertato:

“Vuole dirci che non ha seguito alcun criterio nella scelta?”

“In verità, Dottore, ho seguito due criteri. Il primo è che il comune che alla fine avrei scelto doveva avere un numero di abitanti statisticamente significativo: né pochi né molti. Il secondo è che tra le città che soddisfacevano questo requisito avrei dovuto scegliere assolutamente a caso”.

Tutti i presenti rimasero sbigottiti, ma l’Ingegnere sul punto non volle fornire ulteriori chiarimenti. Chiese solo di attendere e di avere pazienza: avrebbe spiegato tutto più avanti.

Seguirono altre domande, ma di nessuna rilevanza per la storia che stiamo raccontando, perciò le ometteremo integralmente.

Il giorno dopo l’èquipe dell’Ingegnere iniziò a eseguire i prelievi e i tamponi famiglia per famiglia.

L’operazione occupò tre intere settimane, giorno e notte.

Alla fine tutta la popolazione residente fu sottoposta agli esami. Il Sindaco e l’Ingegnere convocarono una seconda conferenza stampa per comunicare l’esito delle indagini.

Il primo a parlare, questa volta, fu l’Ingegnere.

“Buongiorno a tutti i giornalisti presenti. Prima di comunicarvi i risultati relativi agli esami intrapresi per identificare il virus denominato “boliviana” nella popolazione della cittadina di N., vorrei ringraziare la squadra di medici e operatori sanitari che giorno e notte hanno lavorato alacremente per completare la procedura entro il più breve tempo possibile. Faccio presente che in molti casi gli esami sono stati ripetuti più e più volte, perché volevamo che il responso fosse inequivocabile. Aggiungo che sono stati sottoposti a prelievi anche i soggetti che già erano risultati positivi ma di cui la maggior parte era asintomatica. Fatte queste debite premesse, passo a leggere i numeri emersi dal nostro esperimento: su 5003 soggetti residenti nella cittadina di N. sottoposti a verifica i positivi alla “boliviana” sono, ad oggi, 5003”.

Il vociare scomposto dei giornalisti collegati invase la piccola sala comunale dalla quale l’annuncio era stato fatto.

Il Sindaco fu costretto a imporre ordine e silenzio. Agitandosi scompostamente, il Dott. Camilli chiese la parola.

“Ingegner Sannazzaro, ma siete assolutamente certi che i risultati siano corretti?”

“Nessun dubbio, Dottore. Come le ho detto gli esami sono stati ripetuti più volte perché volevamo un quadro fedele, limpido e reale della situazione”.

“Ma com’è possibile che tutta la popolazione sia stata contagiata dal virus se con i test effettuati in precedenza solo una minima parte era risultata positiva mentre tutti gli altri, seppur pochi rispetto alla popolazione complessiva di N., erano risultati negativi?”

“Per i negativi posso dirle che erano tutti falsi negativi, Dott. Camilli”.

Il giornalista non riusciva a star seduto sulla sedia.

“Si fa fatica a credere che tutti gli abitanti abbiano contratto il virus, Ingegnere. Ammesso che sia vero, come se lo spiega? Come ha fatto a capire che qui a N. siamo tutti contagiati? Lei aveva detto che ha scelto la nostra comunità a caso”.

“Esatto, Dottore: era essenziale che per verificare la mia intuizione la città venisse scelta a caso”.

“Mi creda, Ingegnere, non ci sto capendo più nulla”.

“Per settimane e settimane, seguendo i confronti tra specialisti, anche io non c’ho capito nulla, Dottore. Ero nella sua stessa condizione. Una notte, una notte unica ed eccezionale, ne ho avuto abbastanza di tutti quei dati, di tutte le interpretazioni e congetture, le illazioni e speculazioni. Respingendo tutto, mi sono detto, mosso dal bisogno di ordine e chiarezza: ma qual è lo scenario più semplice che posso immaginare? L’idea sotto la quale tutto quello che sappiamo finora può essere ricondotto senza contraddizione o incertezza? La risposta che mi sono dato, Dottor Camilli, è che siamo tutti contagiati”.

“Vuole dire Ingegnere che in Italia siamo tutti contagiati?”

“Voglio dire, Dottore, che l’intero pianeta lo è”.

La notizia della totale positività della popolazione di N. si diffuse presto in tutto il mondo. Molte altre città e nazioni seguirono l’esempio dell’esperimento eseguito dall’Ing. Sannazzaro, anche se lui stesso disse che non ve ne era alcun bisogno, perché la positività di una intera cittadina di 5000 abitanti scelta a caso dimostrava inequivocabilmente che non c’era essere umano sulla terra che a un esame accurato, ripetuto molte volte e approfondito non desse lo stesso responso di un qualunque cittadino di N.

Nonostante ciò, molti test furono effettuati nelle diverse parti del mondo, e come si era riscontrato ad N. ogni altra comunità risultò interamente contagiata.

Cosa accade dopo?

Essendo l’intera popolazione mondiale infetta, i governi nazionali e le organizzazioni sanitarie compresero che la quarantena era una misura ormai superata dai fatti, del tutto inutile e sconveniente: perché continuare a tener spento il motore economico e produttivo degli Stati se nessuno poteva più contagiare nessuno né venir a sua volta contagiato da altri?

Il colpo di mano dell’Ing. Sannazzaro, la sua intuizione clamorosa, pose fine al tempo del distanziamento sociale, delle mascherine e protezioni, dell’igiene ossessiva, dell’altro come untore e potenziale nemico, della solitudine ammalante e omicida degli anziani, delle code ai banchi di pegno per procurarsi liquidità per sopravvivere ancora pochi giorni, della depressione di milioni di persone, della rabbia e frustrazione di milioni di altri.

I popoli tornarono ad affollare le vie delle città.

Le persone tornarono ad abbracciarsi e a baciarsi, a tenersi per mano.

L’uomo tornò uomo e la vita vita.

Certo, il virus rimase, si continuò a lottare contro di esso, a studiarne le cause, i possibili rimedi, ma esattamente come accade ogni giorno da quando l’uomo abita questo nostro pianeta. Semplicemente, si iniziò a convivere con il Male, senza che però turbasse più l’ordine mondiale e la paura generasse morte e desolazione nella stessa o addirittura superiore misura del virus.

Anni dopo, circa venti da quei fatti, l’Ing. Sannazzaro venne invitato nella popolare trasmissione televisiva “Mondo nuovo” che andava in onda in prima serata sulla terza rete di Stato.

Il programma si svolgeva così: davanti a un pubblico accomodato in platea, il conduttore sul palco, Paolo Mercurio, seduto dietro a una scrivania rivestita di schermi che a seconda del tema proiettavano immagini congeneri, intervistava persone divenute note per aver contribuito con i loro pensieri o le loro azioni a cambiare il mondo. La persona invitata rispondeva alle domande seduto su una poltrona a forma di mappamondo.

La sera in cui ospite fu l’Ing. Sannazzaro, dopo il rituale benvenuto la prima domanda che Paolo Mercurio gli rivolse fu:

“Ingegnere, ci racconta brevemente cosa accadde vent’anni fa, al tempo in cui il mondo fu funestato dalla pandemia di “boliviana”? Come e quando nacque in lei l’intuizione che poi liberò il pianeta dalla quarantena imposta come misura profilattica dai governi e dalle organizzazioni sanitarie di allora? Intuizione che come sappiamo da quel giorno cambiò completamente il senso, l’interpretazione di cosa sia realmente una pandemia?”

“Innanzitutto la ringrazio, Dottor Mercurio, per avermi invitato stasera nella sua trasmissione e per l’opportunità che mi offre di chiarire i pensieri e le riflessioni che svolsi allora. Tutti quelli che hanno una certa età ricordano cosa accadde vent’anni fa, quando a seguito della comparsa – mi lasci dire che comparsa è il termine più preciso quando si parla di malattie – quando a seguito della comparsa del virus conosciuto con il nome di “boliviana”  il mondo venne  messo in  cattività, preso in ostaggio dal timore del dilagare del contagio. Come ho già avuto modo di dire in questi anni a diversi suoi colleghi, ebbi allora un’intuizione che poi come tutti sapete si rivelò esatta. Pensai e mi domandai questo: “Qual è lo scenario più semplice che posso immaginare? L’idea sotto la quale tutto quello che sappiamo finora del virus può essere ricondotto senza contraddizione o incertezza?” La riposta che mi diedi fu: “Lo scenario più semplice è che siamo tutti contagiati”.

“Dunque un’idea semplicissima e perciò geniale”.

“Così si è rivelata poi”.

“Sul fondamento di questa semplice intuizione lei ha quindi messo su la squadra di professionisti che poi ha lavorato per un mese nella cittadina siciliana di N., arrivando ad accertare la totale positività di quella popolazione diremo “campione””.

“Ad essere onesti, Dottor Mercurio, se nessun altro sostegno logico si fosse aggiunto a quella prima intuizione penso che avrei semplicemente abbandonato l’idea di verificare la mia ipotesi”.

“Ci può dire stasera quale altro ragionamento è venuto in soccorso a quella prima e semplice intuizione?”

“Non nascondo che se ho accettato l’invito a venire qui da lei in trasmissione è proprio per spiegare quale motivazione logica mi spinse allora a radunare la mia squadra e recarmi a N. “

“Siamo tutt’orecchie, Ingegnere”.

“Vent’anni fa, dopo aver compreso che la spiegazione più semplice era quella che l’intera popolazione mondiale fosse contagiata, mi dissi: “Posso in qualche modo dare una solida base a questa intuizione? C’è qualcosa che potrebbe assicurarmi che è veramente corretta?” Ponendomi  la domanda, improvvisamente la mente mi andò al tempo della disputa tra i tolemaici e Copernico. I tolemaici con la loro visione che fosse il sole a ruotare intorno alla terra e non viceversa rappresentavano e incarnavano, potremmo dire, la Scienza ufficiale dell’epoca. Niccolò Copernico era invece l’outsider, colui che aveva un’idea del tutto opposta, il bastian contrario del tempo. Copernico era solo con la sua idea, solo contro tutto l’apparato organizzato e dominante della Cultura dell’epoca che tentava di screditarlo e sconfessarlo. Come ormai sappiamo tutti, Copernico aveva pienamente ragione: dimostrò infatti che è la terra a ruotare intorno al sole e non viceversa, come tutti gli “esperti” sostenevano invece da secoli. Quando mi venne alla mente questa disputa ricordo distintamente che non mi sentii affatto appagato dal modo nel quale ancora oggi si attribuisce piena vittoria a Copernico e una netta sconfitta ai tolemaici. Cos’era che non mi soddisfaceva? Che al mio senso logico suonava stonato e incompiuto? Era questo: Copernico aveva inequivocabilmente ragione: la terra ruota intorno al sole, ma i tolemaici avevano poi in fondo così torto? Mi risposi netto e sicuro: “NO!” Perché no? Perché tutti noi vediamo il sole muoversi nel cielo e questo, prima di essere un giudizio, è un FATTO CERTO.

J.W. Goethe disse: “I sensi non ingannano, inganna il giudizio”.

I tolemaici pretendevano, giustamente, che venisse riconosciuto questo fatto evidente: che il sole ruota intorno alla terra. Possiamo dar loro torto su questo? NO! Ma perché vediamo il sole muoversi nel cielo? Perché la  terra esegue un movimento di rotazione intorno al proprio asse. Se la terra non ruotasse intorno al proprio asse, se fosse ferma, anche il sole starebbe fisso nel cielo (tralasciamo il discorso sulle inclinazioni) e avremmo tutto l’anno una metà del pianeta illuminata e l’altra sempre nelle tenebre. Dunque è vero come testimoniano i nostri sensi che il sole ruota intorno alla terra – ruota perché ruota la terra stessa –, ma è altrettanto vero che la terra ruota intorno al sole. Dunque chi tra tolemaici e copernicani aveva ragione? TUTTI E DUE! Tolemaici e copernicani esprimono due verità, ma sono due verità parziali. Se vogliamo scoprire, accedere alla VERITÀ INTERA dobbiamo tenere presenti tutt’e i due i punti di vista e sintetizzarli tra loro. Se prendiamo per vera solo la spiegazione dei tolemaici non abbiamo la Verità, perché la terra ruota intorno al sole; se prendiamo per vera solo la spiegazione di Copernico non abbiamo la Verità, perché il sole nel cielo ruota intorno alla terra ed è un fatto che tutti noi possiamo verificare; per spiegare TUTTO quel che accade, la VERITÀ INTERA – la terra che ruota intorno al sole e il sole che ruota nel cielo – dobbiamo dunque riunire i due punti di vista opposti: il sole ruota intorno alla terra ma allo stesso tempo la terra ruota intorno al sole: abbiamo generato un PARADOSSO. Cari Telespettatori, dovete capire queste due cose: 1) SOLO NELLA SINTESI C’È VERITÀ, E LA VERITÀ È SEMPRE PARADOSSALE; 2) LA REALTÀ IN CUI TUTTI NOI VIVIAMO È LA TANA DEL BIANCONIGLIO”.

“Meraviglioso, Ingegnere, davvero eccezionale. A beneficio di coloro che non hanno dimestichezza con questo modo di pensare e con il ragionare logico in generale, saprebbe in qualche modo semplificare quello che ci ha detto?”

“Certo, Dottor Mercurio. Immaginate un oggetto grigio. Se lo mettete in una stanza con molta luce l’oggetto apparirà più bianco che grigio; viceversa, se lo mettete in una stanza buia sembrerà più nero che grigio; solo se lo mettete in una stanza con la GIUSTA LUCE lo vedrete nel suo colore REALE: grigio. Il grigio è la sintesi dei due opposti: bianco e nero; se lo mettete nella stanza molto illuminata esprimerà solo il grigio-bianco e avrete una metà della verità; se lo mettete in una stanza buia esprimerà solo il grigio-nero e avrete la seconda metà della verità; se lo mettete in una stanza con la luce giusta lo vedrete PER COME È DAVVERO: avrete TUTTA LA VERITÀ. Ancora più semplice: la prospettiva in disegno. Quanti punti di vista servono per creare una prospettiva? Due punti di vista, A e B. Se si ha solo A non si ha una prospettiva; se si ha solo B non si ha una prospettiva. Solo riunendo e facendo agire insieme A e B si può ottenere una PROSPETTIVA. Pensate anche al sillogismo: due premesse, una maggiore e una minore; se si ha solo la premessa maggiore non si ha un sillogismo; se si ha solo la premessa minore non si ha un sillogismo; solo quando si hanno insieme le due premesse allora il sillogismo dà anche una CONCLUSIONE. Lo stesso dicasi per le operazioni matematiche fondamentali: addizione, sottrazione ecc. Se si ha solo un addendo X non hai un’addizione; se si ha solo un addendo Y non si ha un’addizione; solo sommando X e Y si ha un’addizione, un RISULTATO: risultato che è la sintesi degli addendi X e Y. Concludo così: se si hanno solo i tolemaici non si ha la spiegazione; se si ha solo Copernico non si ha la spiegazione; solo riunendo tolemaici e copernicani si ha la SPIEGAZIONE”.

“Chiarissimo, Ingegnere. Chiarissimo. Ci fa capire ora come da questo ragionamento lei ha compreso cosa stava accadendo nel mondo vent’anni fa?”

“Ho semplicemente applicato questo discorso logico al virus, Dottor Mercurio. La Scienza ufficiale diceva allora: “Nessuno ha il virus se qualcuno non glielo trasmette contagiandolo”: VERO! La Scienza ufficiale recitava la parte dei tolemaici di quell’epoca. Io presi quello che loro dissero e generai l’opposto: “Tutti hanno il virus e nessuno lo trasmette contagiandoci”: VERO! Questa visione corrisponde nell’esempio a Copernico. Dopodiché, poiché la VERITÀ STA NEL MEZZO ED È PARADOSSALE come ho dimostrato con gli esempi, ho fatto la sintesi tra le due visioni: “Tutti hanno il virus e nessuno lo trasmette contagiandoci, ma nessuno ha il virus se qualcuno non  glielo trasmette contagiandolo”: ho generato IL PARADOSSO RISOLUTIVO”.

“Impressionante, Ingegnere. Davvero impressionante”.

“Vede, Dottor Mercurio, c’è un punto assolutamente positivo nel pensiero unico, conformista, nelle teorie generalmente accettate – e in ogni epoca e in ogni campo ce ne sono sempre -, teorie generalmente accettate che poi qualcuno, un uomo mandato dal Destino, ribalta: essendo verità parziali, costituendo uno dei due poli, sono il punto su cui fare leva per generare l’opposto; ottenuto l’opposto si può poi procedere alla sintesi, alla conciliazione dei punti di vista antitetici, così che diano PROSPETTIVA, RISULTATO e SPIEGAZIONE”.

“Incontestabile. E questo ragionamento come l’ha portata a reinterpretare il concetto di contagio?”

“Il paradosso che ho esplicitato, sciogliendolo, cioè razionalizzandolo, non poteva che significare questo: tutti avevamo il virus, ma per poterlo avere dovevamo contrarlo, cioè ESPRIMERLO. Detto in altre parole: il virus lo avevamo tutti in noi, ma bisognava che qualcosa lo ATTIVASSE, così da manifestarsi patologicamente. I soggetti nei quali non si manifestò e che risultarono negativi pur avendolo furono semplicemente dei portatori sani  che gli strumenti del tempo, precisi ma non precisissimi, non furono capaci di rilevare in tutti prima che la mia squadra vi riuscisse con grande sforzo e perizia”.

“Grazie, Ingegnere. Grazie per quello che ha fatto venti anni fa e per aver accettato di raccontarcelo e spiegarcelo stasera… un attimo, uno dei miei assistenti mi fa segno che lei ha chiesto che venga portata qui sul palco una gabbietta con un uccellino: è corretto?”

“Sì, Dottor Mercurio. È un cardellino che è stato catturato pochi giorni fa”.

“D’accordo, allora. Fatela entrare”.

L’assistente, un ragazzo macilento con i capelli rossi, entrò e sistemò al centro del palco il cardellino chiuso in una gabbietta di medie dimensioni sostenuta da un alto treppiede.

“Proceda pure, Ingegnere”.

Giacomo Sannazzaro si levò dalla poltrona a mappamondo e si avvicinò alla gabbia. Batté quindi con due dita prima a destra, poi a sinistra: il cardellino saltellò e volò da una parte all’altra nel tentativo di allontanarsi dal luogo dove avvertiva la minaccia. Fatto ciò l’Ingegnere allungò il braccio e sollevò il gancio che serrava la porticina. Il cardellino, dopo alcuni momenti di esitazione, saltò sul bordo del vano e poi volò fuori, librandosi sopra le teste delle persone sedute in platea.

“Che cosa ha voluto dimostrare con questo, Ingegnere?” chiese Paolo Mercurio.

“Una cosa semplicissima: fin quando era nella gabbia, il cardellino, sentendosi minacciato, si attaccava a una sbarra o all’altra. Quando ho aperto la porticina ha invece potuto esprimere la sua vera natura: volare libero.
Lo stesso vale per il pensiero: se lo si ingabbia, sentendosi minacciato cercherà di aggrapparsi a una sbarra o all’altra, ma se gli si apre la porticina – anche se non senza esitazione – volerà presto fuori, manifestando la sua vera natura. Potrà esprimere realmente ciò che è: ASSOLUTA LIBERTÀ”.

Marco Morrone

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