Filosofia della Libertà e rapporti umani

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Le modalità utilizzate per affrontare l’epidemia da SARS-CoV2 hanno provocato effetti dirompenti in molti ambiti: sanitario, economico, civile e del vivere quotidiano, ma credo che i più devastanti siano da ricercare nell’interiorità umana, a partire dai bambini, sui quali si sono riversati, oltre ai bavagli fisici, ansie e paure che essi non potevano gestire consapevolmente. Recentemente il direttore della rivista tedesca Bild, un tabloid tra i più venduti, si è scusato con essi pubblicamente in un video.

Fra i tanti effetti provocati, dunque, vorrei scegliere la ricaduta che questa situazione ha avuto nei rapporti umani, nei rapporti di amicizia in particolare, ma anche di vicinato, nei rapporti familiari e di coppia, i quali tutti hanno subito conseguenze, anche se, come vedremo, non solo e non sempre negative. La rapidità degli eventi e l’impatto emotivo da essi avuto, hanno provocato reazioni più naturali, se si può dir così, hanno fatto si che ognuno si manifestasse in maniera più autentica, senza sovrastrutture, più sincera, anche senza volerlo.

Col procedere degli eventi si è cominciato a constatare che le reazioni che ci si sarebbe aspettati da parte delle persone con cui si veniva a contatto non erano quelle desiderate, anche da parte di parenti e amici conosciuti da tempo. Ad esempio, andare incontro ad una persona e venir respinti con imbarazzo, o vedere l’altro indietreggiare con apparente noncuranza allo scopo di mantenere la “distanza di sicurezza”; inviti rifiutati o rimandati con motivazioni strane e poco plausibili, silenzi significativi, domande intuite ma non esplicitate, per timore di una risposta sgradita; o ancora senso di liberazione quando l’altro dava un indizio tale da capire che così non era. Sino a quello che, si voglia o meno, è il punto di ricaduta destinato a perdurare e anzi a restare in permanenza: il cosiddetto “vaccino”, in realtà farmaco genico sperimentale.

Chi l’ha aspettato con ansia crescente, con convinzione, si mostra liberato, spavaldo, a volte provocatorio; chi l’ha accettato dubbioso teme quasi di parlarne; chi l’ha rifiutato e sa che le “varianti” che riempiranno sempre più l’alfabeto greco provengono in buona misura dai “vaccinati” fa fatica a dirlo all’amico, non solo per evitare reazioni forti ma anche per dimostrare a se stesso di essere in grado di non aderire al diffuso terrore di ammalarsi.

Tutto ciò ha provocato inevitabili cambiamenti nei rapporti personali, ritengo di quasi tutte le persone. Il distanziamento sociale fisico si è trasformato in alcuni casi in un allontanamento animico o affettivo, con discussioni anche animate, rotture e attriti nei rapporti tra fratelli e anche di coppia. Ma è anche accaduto l’inverso, come il ritrovarsi con persone con cui da anni si erano persi i rapporti e conoscere persone nuove.

Nell’un caso o nell’altro, è fuori di dubbio che tutto ciò ha portato ad un chiarimento nei rapporti, qualunque sia stato l’esito. E questo, a mio parere, è sempre positivo. Si può dire insomma che sta avvenendo in molte persone un “reset”, piccolo rispetto all’altro, nei rapporti umani, questo però positivo, con una maggior condivisione di pensieri e soprattutto una comune sensibilità animica.

Tutto bene dunque? Certamente no. Chi ha letto sin qui si sarà accorto che la mia descrizione può senz’altro essere definita unilaterale in quanto riferita quasi totalmente ad una minoranza di persone, quelle che non hanno condiviso la narrazione ufficiale degli avvenimenti, minoranza, forse non così piccola, nella quale anch’io mi riconosco e della quale ho esperienza, sia diretta sia derivante da racconti di altri. Coloro che hanno accettato l’ufficialità forse si sono trovati in situazioni analoghe e rovesciate. Non rivendico certo una oggettività in questi miei pensieri, ben difficile da ottenere quando si parla di rapporti umani. Ciò che ora vorrei cercare di dimostrare cerca di andare al di là.

Se accettassimo di fermarci a questa contrapposizione, se essa divenisse definitiva, cadremmo nel dualismo, il quale è sempre ingannevole e pericoloso, soprattutto nei rapporti umani. Osservando con maggiore attenzione le reazioni delle persone, ascoltando i loro discorsi al mercato, sul bus, ci si può accorgere che ci sono almeno tre tipologie di reazioni alla situazione che viviamo. Accanto ai sostenitori convinti della “scienza”, accanto a coloro che guardano fiduciosi alle autorità in genere, da un lato, e accanto a coloro che ne contestano tesi, decisioni e misure con argomenti medici, scientifici e costituzionali, dall’altro, esiste una cospicua zona grigia, a mio avviso maggioritaria, di persone indecise.


Sono persone che sentono che c’è qualcosa che non quadra, anche se alla fine propendono per la versione ufficiale in quanto sostenuta a reti unificate; persone che si sono vaccinate con timore, con poca convinzione, perché non si sono sentite di sostenere il rifiuto nel posto di lavoro o in famiglia, o semplicemente per paura di ammalarsi. O anche persone che, pur consci delle manipolazioni dell’informazione e degli interessi che giocano nascosti, non sono pronte a fare un passo che toglierebbe loro sicurezze di una vita, fiducia nell’autorità, nelle istituzioni.

Dunque, avendo chiaro che lo scontro frontale favorisce soltanto i fautori del controllo ed è parte essenziale dell’inganno, il dialogo tra persone resta la prospettiva non solo idealmente più corretta ma anche la più opportuna. I costruttori infaticabili di fazioni sono all’opera e, dopo aver provveduto con ampio anticipo a catalogare come “no qualcosa” chi propone soluzioni diverse, sono pronti ad accusarli di tutti i disastri derivanti dall’esito disastroso, che sempre più si manifesterà, di questa cosiddetta pandemia.

Quando parlo di dialogo deve essere chiaro che mi riferisco qui a persone che lo accettano, a persone disponibili a confrontarsi, non per vincere e neppure in primo luogo per convincere, persone con le quali è necessario comprendersi, pur nella libertà di scelte individuali diverse. Intendo dunque limitarmi allo scambio di pensieri, concetti, tesi, non solo informazioni, anche se questo può sembrare riduttivo, in quanto si è poco abituati a dare ad essi importanza, in questa era materialistica e mercantilistica.

Rudolf Steiner

Un riferimento essenziale, a questo riguardo, è la Filosofia della Libertà di Rudolf Steiner, un libro poco conosciuto, e non come dovrebbe esserlo neppure forse da coloro che conoscono l’antroposofia, di cui esso è il fondamento.
In una conferenza del 2 ottobre 1920 tenuta a Dornach, così l’autore parla di quest’opera:

“La mia Filosofia della Libertà intende sollecitare ad ogni pagina l’attività pensante del lettore. Il libro vuole essere solo una specie di spartito che occorre leggere pensando attivamente e progredendo con forza propria di pensiero in pensiero. In esso vien fatto appello continuamente alla collaborazione pensante del lettore, e inoltre si conta sugli effetti che una tale attività di pensiero esercita nell’anima.” (I confini della conoscenza della natura. O.O.322).

Perché questo libro ci interessa in questa sede e in questo periodo in particolare? In estrema sintesi, perché la capacità pensante, intesa come vedremo tra poco, è in netto declino e senza di essa ogni rapporto umano diventa sempre più difficoltoso. Nella prima appendice alla seconda edizione del 1918, Steiner risponde al seguente quesito:

“Vi sono pensatori che sono dell’opinione che risulterebbe una particolare difficoltà quando si volesse comprendere come un’altra vita psichica umana possa agire sulla propria (…). Essi dicono: il mio mondo cosciente è chiuso in me; un altro mondo cosciente lo è altrettanto in sé. Io non posso guardare nel mondo cosciente di un altro. Come arrivo a sapermi in un mondo comune con lui?”

La domanda deriva dal fatto che questo libro è concepito con lo scopo che egli stesso ha dichiarato nella citazione precedente, ovvero è rivolto all’individuo in quanto tale, il che sembra isolarlo rispetto agli altri individui e rendere difficile o impossibile la comunicazione psichica. Così l’autore risponde:

La Filosofia della Libertà di Rudolf Steiner, prima edizione Berlino 1894

“Che cosa ho in definitiva davanti a me, quando ho di fronte un’altra persona? Per prima cosa mi si presenta l’apparizione corporea sensibile dell’altro, datami come percezione; poi ancora la percezione uditiva di quel che dice, e così via. Io non guardo solo tutto questo, ma metto in movimento la mia attività pensante. In quanto sto di fronte pensando all’altra persona, la percezione mi si caratterizza come psichicamente trasparente. Afferrando la percezione col pensare sono costretto a dirmi che essa non è affatto quel che appare ai sensi esteriori. In ciò che essa è direttamente il fenomeno sensibile ne manifesta un altro in cui essa è indirettamente. Il suo presentarmisi è al tempo stesso il suo dissolversi in quanto puro fenomeno sensibile. Ma ciò che in tale dissolversi essa manifesta in quanto essere pensante mi costringe a dissolvere il mio pensare per il periodo della sua azione, e a sostituirvi il suo pensare. Io afferro però nel mio pensare quel suo pensare quale mia esperienza. Ho realmente percepito il pensare dell’altro, poiché la percezione diretta, che si dissolve in quanto fenomeno sensibile, viene afferrata dal mio pensare; è un processo che si svolge interamente nella mia coscienza e che consiste nel porre il pensare dell’altro al posto del mio. Col dissolversi del fenomeno sensibile viene in effetti abolita la separazione tra le due sfere di coscienza.”

 

E’ di tutta evidenza che Rudolf Steiner non ci sta proponendo un percorso facile, ma uno possibile. Questa appendice al libro in effetti genera particolari difficoltà in quanto scritta in linguaggio filosofico per rispondere adeguatamente a obiezioni fatte da altri filosofi. Verrebbe anzi da pensare che proprio per questi motivi essa è poco o punto praticata proprio nei rapporti umani nel mondo antroposofico, vista la quantità di lotte e divisioni che l’hanno percorsa dalla morte di Steiner.

Mi permetto allora di dare una mia interpretazione, che non pretende di essere esaustiva o definitiva, a queste parole, che possono apparire astratte a chi non conosce l’opera. Ciò che unisce le persone è il pensare, inteso come attività dello spirito umano, che ognuno può esperire liberamente traendo da esso alcuni pensieri e portandoli ad espressione. Ognuno colora i suoi pensieri con sentimenti e giudizi personali derivanti dalla sua formazione, esperienza ecc. ma ciò che è comune a tutti è l’attività pensante, il pensare.

Platone

Occorre ora aver chiara anche un’altra differenza fondamentale: quella tra giudizio conoscitivo e giudizio morale. Il primo si riferisce ai pensieri che l’altro esprime, il secondo alle azioni che l’altro compie. Orbene, sui pensieri espressi ci possono essere giudizi conoscitivi, ovvero si possono condividere, confutare, allargare, ma occorre farlo con concetti, argomenti, con altri pensieri insomma. Un buon esempio sono i Dialoghi Platonici. I comportamenti, azioni altrui vanno invece lasciati alla libera decisione della volontà altrui, senza giudizio morale.

Nella citazione Steiner invita a “dissolvere il mio pensare per il periodo della sua azione, e a sostituirvi il suo pensare”, a distinguere cioè quello che dell’altro appare ai miei sensi (la figura, la voce ecc.) dal suo pensare, per coglierli separatamente e alternativamente, in modo tale che, anche solo per attimi, il suo pensare sia anche il mio. Ho detto che non è facile e lo ribadisco, ma non conosco altro mezzo se voglio davvero comprendere i suoi pensieri su un piano profondo, che non è solo intellettuale e neppure solo empatico, del sentimento. Il pensare, come è qui inteso, è l’unica attività che ci accomuna, mentre il sentimento è personale, individuale.

Come si può intuire, la controimmagine di quanto è qui caratterizzato è il talk show televisivo, che col pretesto di informare genera volutamente rissa, per incrementare gli ascolti in favore degli inserzionisti pubblicitari. Questa modalità è penetrata sempre più nel nostro modo di rapportarci, perché fa leva su elementi istintuali; essa è una delle tante conseguenze dello scientismo e riduzionismo che caratterizzano il nostro tempo. Dall’altro verso, una cultura che affonda le radici in un cattolicesimo tradizionale antico, fa del giudizio morale sui comportamenti e le libere decisioni altrui un metro di misura per dividere, accusare e criticare. Si crede che per andare d’accordo si debba fare tutti le stesse cose. Ci si basa insomma sulle qualità animiche importanti ma che caratterizzano l’individuo (sentimento e volontà), e si trascura l’unica che è in grado di unirli, il pensare. Con questa miscela micidiale i rapporti umani diventano sempre più improbabili, più tesi, sempre meno sinceri.

Nella proposta di Steiner non è richiesto di convincere, solo di cercare di essere l’altro mentre lo si ascolta. Non è poco ma è ciò che occorre. Il darwinismo scientifico e sociale che impera nella nostra civiltà genera le barbarie che vediamo e sempre più ne genererà se non verrà anzitutto riconosciuto e trasformato in collaborazione. Ma affinché ciò possa avvenire è indispensabile saper dialogare.

Sergio Motolese, Liberi di pensare nell’era dell’intelligenza artificiale

Come si ottiene la collaborazione? Come si favorisce il dialogo? Accettando i contrasti. Essi sono l’opposto della lotta e sono sempre fonte di evoluzione. I contrasti avvengono in una visione trinitaria che vede i due poli contrapposti come complementari e ne ricerca la composizione. La lotta parte dal”idea di distruggere l’avversario.

Evitare il confronto per paura che diventi lotta è come evitare di uscire di casa per paura di incidenti. Favorire l’emersione dei contrasti significa allenarsi a superarli. Rifiutare un confronto tra persone, un confronto di idee e pensieri, non è mai sinonimo di un superiore livello di coscienza, spesso anzi è ostentazione di potere.

Vorrei concludere riferendomi nello specifico proprio al mondo antroposofico. Le lotte e le divisione che ne hanno caratterizzato l’esistenza negli ultimi cento anni, dalla morte di Rudolf Steiner, tolgono credibilità proprio a chi ritiene di voler portare nel mondo una scienza spirituale orientata in senso antroposofico. La gravità non consiste nel fatto che esistano contrasti, ma che li si voglia nascondere, o per senso di superiorità o per paura che emergano, e allora diventano lotte.

Conquistare la calma e il linguaggio per comunicare con gli altri, almeno con chi ci è più vicino idealmente, pur nella diversità di indirizzi e strade percorse, è un imperativo per il presente e per il futuro. Il rischio è quello di essere imprigionati nel dualismo: da un lato il settarismo, col quale ci si isola dagli altri; dall’altro l’omologazione al potere dominante, il quale non è solo quello economico e tecnologico; dietro di essi agiscono potenti forze spirituali che cercano di contrastare proprio la libertà del pensare, l’evoluzione libera della coscienza umana.

Esse vanno riconosciute perché solo così possono diventare strumenti di risveglio interiore. Ma per riconoscerle occorre sviluppare un pensare vivo, non meccanico. Leggendo, studiando e praticando la Filosofia della Libertà di Rudolf Steiner abbiamo uno “spartito”, come lui lo definisce, il quale diventa sempre più guida sicura. E allora “suoniamolo”, prima da soli, poi in una orchestra sempre più numerosa, consci che una musica è realmente armonica quando è ricca di intuizioni creative, quando alterna assonanze e dissonanze, in perenne risoluzione di contrasti.

In copertina: Mikalojus Konstantinas Čiurlionis – Il dono dell’amicizia (1906)

Sergio Motolese   


Sergio Motolese, musicista.
L’incontro con l’antroposofia di Rudolf Steiner gli ha consentito di integrare le esperienze musicali con quelle acquisite in vari ambiti concernenti la salute.
Negli ultimi anni si è occupato in particolar modo degli effetti del suono elettronico e dell’informatica digitalizzata sull’essere umano.
E’ diplomato  presso la LUINA (Libera Università di Naturopatia Applicata). Tiene laboratori musicali, conferenze, incontri, seminari, gruppi di studio.

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