di Piero Cammerinesi

George Orwell non fu il primo ad annunciare l’avvento di un mondo distopico.  

Prima di lui ci fu Evgenij Ivanovič Zamjatin, l’autore russo che con Noi, romanzo pubblicato nel 1924, fu il vero capostipite della narrativa distopica.  

Evgenij Ivanovič Zamjatin

Prendendo le mosse dalla oppressione totalitaria presente nell’Unione Sovietica del primo ‘900, nel romanzo viene descritta una struttura statale catafratta che identifica nella libertà e nel libero arbitrio un elemento negativo per la felicità dei cittadini; un elemento da combattere spietatamente, onde controllare in modo scientifico le loro vite. 

“Mi è capitato di leggere o ascoltare molte cose inverosimili sui tempi in cui gli uomini vivevano in uno stato selvaggio, libero, cioè non organizzato. Ma proprio questo m’è sembrato il più inverosimile, come mai il potere di allora, fosse pure un potere embrionale, poteva ammettere che gli uomini vivessero senza nulla di simile alle nostre Tavole della legge, senza passeggiate obbligatorie, senza un preciso regolamento delle ore dei pasti e si alzassero e andassero a dormire come passava loro per la testa; alcuni storici dicono perfino che a quei tempi nelle strade per tutta la notte c’erano lampioni accesi e tutta la notte la gente camminava e passavano i veicoli. Io questo non posso concepirlo in nessun modo”.  (Evgenij Ivanovič Zamjatin)

 

 

Zamjatin prefigura in Noi, un’agghiacciante condizione futura di uomini che si trasformano praticamente in “macchine”. Nel romanzo egli descrive come lo Stato Unico – dice niente questo concetto? – intorno all’anno 2000  controlla totalmente la vita dei cittadini, forzandoli a vivere una esistenza artificiosamente ritmata, ove ogni cosa – compreso l’amore – deve avere una qualche utilità ed essere organizzata in modo automatizzato.

Tuttavia forse nessuno più di Orwell oggi asceso agli onori – si fa per dire – delle cronache per come con il suo 1984 è riuscito a prefigurare – scritto oltre ottant’anni fa – in modo assolutamente esemplare quanto sta accadendo nel nostro presente. 

George Orwell

Bisogna poi dire che quanto vediamo attuarsi oggi non è qualcosa che nasce “out of the blue”, come si dice oltreoceano, d’improvviso. 

No, è qualcosa che è stato meticolosamente e pazientemente preparato per anni, per decenni. 

Le rivoluzioni – in senso progressivo o regressivo – non nascono da un giorno all’altro. 

Né nascono spontaneamente.

Sono come i terremoti: le faglie si muovono, si scontrano finché un giorno – boooom – la terra si accartoccia e il sisma si abbatte sugli uomini con la sua carica distruttiva. 

Uno dei ‘pezzi forti’ di Orwell è, per esempio, la sua analisi del rapporto verità/menzogna proprio alla civiltà distopica prossima ventura. 

“In tempi di menzogna universale, dire la verità è un atto rivoluzionario.”

Da Orwell ora passiamo ai giorni nostri per verificare quanto questa tanto desiderata e vituperata verità sia oggi non solo osteggiata e svilita ma addirittura combattuta furiosamente e non solo dal potere, – il che sarebbe anche comprensibile – ma da quelli che dovrebbero essere i suoi più strenui difensori, vale a dire i responsabili dell’informazione. 

Mi riferisco ad una notizia che, se non fosse stata pubblicata dai media mainstream potrei pensare che fosse uscita dalle pagine di Zamjatin o di Orwell.  

Mi riferisco alle dichiarazioni delle Federazioni Internazionale ed Europea dei Giornalisti (IFJ/EFJ) secondo le quali – udite udite –  l’acquisizione di Twitter da parte di Elon Musk sarebbe una “cattiva notizia”, in quanto minaccerebbe il pluralismo, la libertà di stampa e creerebbe un terreno fertile per la disinformazione. 

 

Musk, come è noto, lunedì scorso dopo averla scalata ha acquisito la proprietà esclusiva di Twitter, sborsando ben 44 miliardi di dollari. 

Ha affermato, con questa operazione, di voler

“sradicare lo spam e i bot, autenticando gli utenti umani, e rendere la piattaforma un bastione della libertà di parola“. 

Per tutta risposta il segretario generale dell’IFJ Anthony Bellanger si è affrettato a dichiarare:  

“Twitter è un’estensione degli uffici dei giornalisti. È qui che i giornalisti promuovono il loro lavoro, esprimono idee o trovano fonti di informazione. Questo spazio deve essere debitamente moderato, nel rispetto della libertà di parola. Si tratta di un sottile equilibrio a cui ogni proprietario di Twitter deve prestare attenzione. Siamo preoccupati che i piani di Elon Musk per Twitter stiano andando nella direzione sbagliata, esacerbando le opportunità di attaccare i giornalisti e minacciando l’anonimato degli utenti”. 

Effettivamente il tweet di Musk, pubblicato appena dopo l’acquisizione della piattaforma aveva fatto tremare i polsi al sistema dei media mainstream: 

La libertà di parola è il fondamento di una democrazia funzionante, e Twitter è la piazza digitale dove si discutono questioni vitali per il futuro dell’umanità”, ha detto Musk. “Voglio anche rendere Twitter migliore che mai, migliorando il prodotto con nuove funzionalità, rendendo gli algoritmi open source per aumentare la fiducia, sconfiggendo i bot di spam e autenticando tutti gli umani. Twitter ha un potenziale enorme – non vedo l’ora di lavorare con l’azienda e la comunità di utenti per sbloccarlo. 

Libertà di parola?  

Autenticare tutti gli umani? 

Ma vogliamo scherzare? 

Ecco che, infatti, la Federazione Internazionale dei Giornalisti ieri [26 Aprile] ha condannato l’acquisto di Twitter  sostenendo che il suo sostegno alla libertà di parola è in qualche modo “una cattiva notizia per la libertà dei media”.  

 Eccoli gli ossimori orwelliani:  

La guerra è pace. La libertà è schiavitù. L’ignoranza è forza.

cui si aggiunge ora:

Verità è menzogna.


Esemplare, no? I giornalisti, che dovrebbero essere i garanti della verità dei fatti e della libertà di parola, sono oggi – addirittura ufficialmente tramite le proprie istituzioni internazionali – i gatekeeper della censura e della manipolazione. 

Le organizzazioni suddette hanno insinuato che, se il piano di Musk è quello di “autenticare tutti gli esseri umani” ciò avrebbe ripercussioni sui giornalisti e sulle loro fonti, che dipendono dall’anonimato. 

Evidente, ma noi che vogliamo pensare male – anche se si fa peccato – aggiungiamo che se si ripristinasse la libertà di parola le presstitute, le prostitute dell’informazione non potrebbero più manipolare senza freno la gran parte dei cittadini, e le “ripercussioni sui giornalisti” non proverrebbero certamente dal fatto che i cittadini “ruberebbero loro il mestiere” bensì dal fatto che si accorgerebbero delle menzogne dell’informazione ufficiale.

Inoltre, – sostengono –  i suoi piani per consentire

“il discorso non regolato su Twitter senza moderazione aumenterà la disinformazione e minaccerà il giornalismo di qualità”. 

C’è bisogno di commentare questa affermazione? 

Il giornalismo di qualità? Ma di che stiamo parlando? Il giornalismo di qualità è ormai rappresentato solo da quella minuscola percentuale di professionisti che sta cercando di schivare la “moderazione” che, tradotta dal politically correct, si chiama censura. 

Poi, visto che non si può dire tutto apertamente, bisogna usare la foglia di fico per coprire la vergogna delle proprie affermazioni; allora i nostri prodi difensori dell’informazione internazionale aggiungono che diminuendo la moderazione dei contenuti,

“i giornalisti, in particolare le donne e quelli appartenenti a gruppi minoritari potrebbero essere molestati online”. 

 Avete capito?

Donne o gruppi minoritari molestati online, mentre oggi i giornalisti liberi vengono o ammazzati come cani o imprigionati e estradati – come nel caso di Julian Assange – in Paesi dove rischiano anche condanne a morte. 

Ecco allora che, indirettamente, grazie a Musk, che si legge mask, maschera, la maschera è caduta.  

Poi potremmo anche aggiungere che Elon Musk – personaggio ambiguo, apostolo del transumanesimo – ha verosimilmente ben altri obiettivi che non semplicemente quelli di rappresentare un araldo della libertà di stampa, ma, come si dice, questa è un’altra storia….

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