Gli “sciocchi negazionisti” avevano ragione

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Oggi i dati lo dimostrano chiaramente: COVID non è stata una pandemia, ma una forma grave di influenza. In Germania i vilipesi critici della politica del Coronavirus hanno posto fine all’allarmismo.

Stefan Homburg*

Il Coronavirus è oramai scomparso dalle prime pagine dei giornali in Germania (che ha mantenuto la sua reputazione di «paese dei ritardatari» fin dal XIX secolo). La vita sta tornando alla normalità e il ministro federale dei trasporti Volker Wissing chiede che venga tolto l’obbligo di indossare le mascherine su autobus e treni, una delle ultime vestigia di quelle misure che tanto ci hanno oppresso dal marzo 2020.

Sebbene il numero di casi sia molto più alto rispetto all’epoca dei «lockdown» e del coprifuoco, quasi nessuno vi presta più attenzione.

Due anni fa le cose erano ben diverse. Dopo la chiusura di ristoranti, negozi e impianti sportivi, il divieto delle normali funzioni religiose e dei funerali e l’arresto di persone sedute da sole sulle panchine dei parchi, la maggioranza della popolazione si era irrigidita per la paura. Per un certo periodo, il «Telegiornale» avrebbe potuto essere rinominato «Telecorona». E i zelanti giornalisti scoprirono improvvisamente che tutti gli scienziati – in precedenza considerati irreprensibili – che si ribellavano alla narrazione generale di una pericolosa pandemia, erano razzisti, sobillatori e antisemiti.


Sottomortalità

In seguito, dei manifestanti sono stati picchiati, milioni di post critici in rete e sui media sono stati cancellati e sono stati aperti in massa procedimenti penali. I critici sono stati licenziati o sospesi, i loro conti bancari chiusi, le loro abitazioni private perquisite. Nello stesso tempo, ogni mutazione virale marginale riceveva una trasmissione speciale e gli « opinion maker » prevedevano costantemente il peggio per le settimane a venire, motivo per cui anche durante i mesi estivi c’era l’obbligo costante di indossare le mascherine.

Perché nella primavera del 2022 tutto è diverso, nonostante l’aumento dei casi? Secondo l’opinione prevalente, ciò è dovuto all’emergere di varianti virali meno letali e ai progressi della vaccinazione.

Entrambe le affermazioni contraddicono diametralmente i dati ufficiali: già nel 2020, gli studi medici e gli ospedali tedeschi avevano messo diverse centinaia di migliaia di dipendenti a lavorare a orario ridotto. Secondo il Ministero federale della Sanità, il numero di pazienti negli ospedali era diminuito del 13% rispetto all’anno precedente, e addirittura del 30% in primavera. Ospedali di emergenza, costruiti con un costo di milioni di euro, non sono mai stati messi in funzione, delle cliniche esistenti sono state chiuse a causa dell’insufficiente tasso di occupazione. Gli statistici hanno calcolato che il 2020 ha avuto un tasso di mortalità inferiore alla media, tenendo conto della struttura per età. L’età media dei morti dopo un test PCR positivo era di 83 anni, più alta dell’età media di morte usuale.

In sintesi, il Coronavirus è stato relativamente innocuo fin dall’inizio e non ci sono stati segni clinici di una pandemia nel senso originale del termine, anche prima che fosse disponibile un vaccino. Le uniche novità sono stata l’indiscriminata sperimentazione di massa senza alcun motivo – cosa mai vista prima – e la diffusione delle cifre del Coronavirus ogni sera. Nell’era digitale sono stati introdotti anche grafici e app che fornivano informazioni in tempo reale sui numeri dei casi, dando l’impressione che fossero importanti.

Il fatto che il Coronavirus abbia colpito dei singoli individui – sebbene gli organismi socio-sanitari non l’abbiano notato – è innegabile alla luce dei fatti clinici. Una pandemia nel senso originale del termine avrebbe dovuto aumentare il numero di pazienti e di morti, mentre invece è accaduto il contrario.

Ogni tanto si sente obiettare che questo sviluppo è dovuto solo ai «lockdown», senza i quali tutto sarebbe stato molto peggio. A questo proposito vanno dette due cose. In primo luogo, c’è stato un paese in Europa, e molti in tutto il mondo, che si è attenuto alle ricette tradizionali dell’assistenza sanitaria pubblica. Questi non hanno fatto peggio dei paesi che sono andati in isteria. L’OMS certifica ora che proprio la Svezia caso speciale europeo – ha ottenuto risultati migliori in termini di eccesso di mortalità rispetto, ad esempio, alla Germania con i suoi «lockdown» particolarmente severi e duraturi. Rispetto allo stato dei libri di testo e alle linee guida dell’OMS del 2019, l’approccio svedese di adottare solo misure leggere era tutt’altro che convenzionale. Convenzionale è stato invece l’approccio brutale degli altri paesi europei e nordamericani, che hanno fatto ricorso a strumenti non sorretti da alcuna prova delle loro efficacia.

I tentativi di legittimare la politica dei «lockdown» con i bassi tassi di malattia sono un circolo vizioso: qualsiasi politica, per quanto sbagliata, potrebbe essere messa in luce in questo modo. È come l’uomo che corre per la città battendo le mani per scacciare gli elefanti e che, all’obiezione che non ci sono elefanti in giro, risponde: «Vedete?, funziona! ».

Sarebbe molto più opportuno un confronto diretto fra il nuovo Coronavirus e gli altri virus. A questo proposito, i collaboratori dell’insospettabile Robert Koch Institute hanno scritto che, in termini di mortalità, la malattia da COVID-19 è paragonabile a una grave influenza. Questo fatto si accorda con la constatazione empirica che la mortalità complessiva, ad esempio, nel marzo 2018, quando la Germania fu colpita da un’ondata di influenza, è stata superiore alla mortalità complessiva di qualsiasi mese degli ultimi due anni.

Bisogna dirlo chiaramente: il Coronavirus è stato un falso allarme, in realtà un nuovo virus ha semplicemente sostituito i tradizionali virus influenzali e, senza i test PCR, non ci si sarebbe accorti di nulla. Tutte le misure coercitive imposte politicamente, come i «lockdown», sono state sbagliate fin dall’inizio. Con un ritardo di due anni, anche la Germania ha ora compreso ciò che luminari come John Ioannidis e Sucharit Bhakdi avevano correttamente indicato nel marzo 2020.

Ma se l’interpretazione che prevale ufficialmente sulla fine della pandemia non è corretta, qual è quella giusta? In primo luogo, la Germania non poteva ignorare alla lunga i modelli di ruolo stranieri. Il coraggioso Boris Johnson aveva già ignorato l’allarmista Neil Ferguson nell’estate del 2021 e aveva dichiarato conclusa la pandemia. Il Consiglio federale svizzero ha adottato un approccio simile con la sua task force all’inizio del 2022. Dopo che, oltre alla Svezia, altri paesi scandinavi avevano posto fine alle loro misure e dopo che è sorta la domanda maliziosa se il Coronavirus fosse forse un virus puramente tedesco, gli argini sono crollati anche in questo paese. A questo si è aggiunta la guerra in Ucraina, perché le cifre del Coronavirus sono scomparse dai titoli dei giornali proprio il giorno dell’attacco di Putin. Come ha scritto giustamente Kurt W. Zimmermann in questo foglio: «Nei media, arriva sempre una sciagura alla volta ». E nemmeno la politica apprezza un conflitto su più fronti.

Dubbi sui dati delle vaccinazioni

Ciò che è vero per i «lockdown» vale altrettanto per le vaccinazioni. Mentre all’inizio solo pochi dubbiosi volevano attenersi a norme di sicurezza comprovate (l’approvazione dei vaccini richiede spesso dieci o vent’anni), i media e i politici hanno applaudito acriticamente gli studi dei produttori e hanno visto la salvezza nei vaccini sperimentali.

Nel frattempo, le carte in tavola sono cambiate. Dopo che un tribunale statunitense ha ordinato a Pfizer di rilasciare i dati di registrazione, in America si discute di un numero sempre maggiore di irregolarità, che vanno dalla falsificazione dei dati a partecipanti allo studio fittizi. In TV si stanno moltiplicando le segnalazioni di danni da vaccino, gli effetti positivi sarebbero discutibili e, nel migliore dei casi, di breve durata. In Germania, l’Istituto Robert Koch non riferisce più settimanalmente sull’«efficacia dei vaccini» dopo che questa è risultata negativa, e l’Istituto Paul Ehrlich ha tolto dalla rete il suo database sui danni da vaccino, presumibilmente a causa di lacune nella sicurezza.

La risposta alla domanda iniziale è quindi chiara: presunti «sciocchi negazionisti » come Sucharit Bhakdi, John Ioannidis, Stefan Hockertz o Wolfgang Wodarg avevano ragione su tutti i punti principali del contenzioso: hanno placato la paura della popolazione verso un virus mondiale e hanno giustamente messo in guardia dai danni alla salute causati da misure esagerate e vaccini appena testati.

La Germania e il mondo intero dovrebbero essere loro grati.

* dalla “Weltwoche” del 20.05.2022 Stefan Homburg, professore emerito dell’Università Leibniz di Hannover. Il suo libro «Corona-Getwitter» è stato recentemente pubblicato dalla Weltbuch-Verlag.

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