Quando vi sentirete tristi guardate l’azzurro del cielo

Nesterov Florensky Bulgakov

NEL DICEMBRE DEL 1937 I SOVIETICI ASSASSINAVANO PAVEL FLORENSKIJ, FILOSOFO E SCIENZIATO RUSSO: TRA LE CREPE DEL RAZIOCINIO UMANO AVEVA FATTO PENETRARE LA LUCE DELLO SPIRITO

Leningrado, 8 dicembre 1937: in un bosco vicino alla città, in piedi davanti alla fossa comune, Pavel Florenskij attende il colpo alla nuca. Ha i capelli lunghi come Gesù Cristo, la barba da pope, il camiciotto serrato con la cinta ai fianchi. E’ il più promettente scienziato della sua epoca, lo chiamano il Pascal russo,

“In lui – dirà l’amico Bulgakov – si sono incontrate e unite la cultura e la Chiesa, Atene e Gerusalemme”.

La prima volta che lo hanno arrestato è nel 1928, ha già condotto studi fondamentali di geometria non euclidea, ha anticipato intuizioni e scoperte fondamentali.

Florenskij è già molte cose: un matematico autorevole, un sacerdote e un teologo ortodosso, un filosofo solidissimo, un padre di famiglia attento e premuroso. Agli occhi del potere sovietico è colpevole di aver scritto – tra le oltre duecento pubblicazioni scientifiche già al suo attivo – Gli immaginari e la geometria, un saggio che si propone di rivalutare la concezione dello spazio presente nella Divina commedia con il sostegno teorico della geometria pura. Viene tuttavia rilasciato per interessamento della moglie di Gorkij, in cambio del favore il suo genio sfruttato per elettrificare la Russia. Nel 1933 è però di nuovo arrestato.

“Non ho rinunciato al mio stato di sacerdote, ma d’altra parte perché dovrei rinunciare all’abito talare?”

scrive Florenskij che continua a presentarsi vestito da ortodosso ai convegni scientifici, insistendo sul mistero, sullo stupore che prende alla gola e commuove ogni volta che tra le crepe del raziocinio umano penetra la luce dello spirito.

S’ostina, padre Pavel, a parlare di realismo ontologico, del vero empirismo che osserva il mondo senza schemi e trasforma il corpo stesso della realtà – “che è sempre più di se stessa” – in simbolo, “la sostanza stessa della verità vivente che traspare sul confine tra i due mondi”. La realtà dello spirito non è un’ipostasi astratta: tutto ciò che è ha una forma e ogni forma – sostiene Florenskij in quella summa aurea della sua filosofia che è Stupore e dialettica – contiene in sé un certo essere: “Non c’è vita senza forma e non esiste una forma vuota, priva della vita da essa formata” Ogni fenomeno è noumenalità manifesta: “in quanto spiritualità incarnata, in quanto intelligibilità contemplabile”.

Il potere sovietico dichiara inverosimile che “un pope oscurantista”, che pure con l’elettricità ha portato la luce anche nella tetra Lubianka dove a lungo avranno il piacere di torturarlo, possieda tanta competenza nelle scienze esatte.

E’ il 26 febbraio del 1933 quando padre Pavel viene dunque nuovamente arrestato, e stavolta condannato a dieci anni di lager e trasferito nelle isole Solovki, ove al posto dell’antico monastero era stato allestito il primo gulag. Nonostante le bastonature e i ritmi disumani di lavoro mette in atto scoperte di chimica organica e di botanica, riesce a scrivere ai famigliari due volte al mese. L’ultima volta che ha visto la moglie Anna e i tre figli più piccoli era l’estate del ’34, alla stazione di Skovordino.

Nel novembre del ‘37 la troika di Leningrado lo condanna a morte. Ha finalmente confessato di far parte d’una congiura controrivoluzionaria. La verità è che dopo aver resistito strenuamente a interrogatori spietati e alla tortura Florenskij s’è accollato false accuse per salvare alcuni compagni di prigionia. Non crede di aver fatto nulla di speciale e tuttavia è pronto a testimoniare col martirio

“quell’azzurro dell’eternità che si intravede tra le crepe del raziocinio umano… la verità che non si può dimostrare ma senza la quale non si può vivere”.

Per la Verità che rende liberi Pavel Florenskij dà la vita.

“Non dimenticatemi” scrive ai figli, “perché non è vero che tutto passa”. Tutto resta nella memoria, ogni momento di ieri, di oggi, del futuro “resta come la scia incandescente d’una stella che cade”. E “Quando avrete un peso nell’animo, guardate le stelle o l’azzurro del cielo. Quando vi sentirete tristi, quando vi offenderanno, quando qualcosa non vi riuscirà, quando la tempesta si scatenerà nel vostro animo, uscite e intrattenetevi da soli con il cielo. Allora la vostra anima troverà la quiete”

Piace pensare che nella luce che l’ha accolto dopo lo sparo Pavel Florenskij abbia visto nel quadro animato dell’eterno l’Ortodossia che in Russia rinasce e San Pietroburgo che cancella Leningrad, la scienza dei ciarlatani e lo stato dei sovieti nell’immondezzaio del pensiero e della storia; e abbia rivisto se stesso bambino che stupisce delle calcedonie sulla riva del mare “ardenti dall’interno” e i figli amati e la cara Anna, e tutti li abbia sentiti già riuniti in cielo. E finalmente quella visione fissata nel diario del 10 aprile ’23 come fugace preannuncio, promessa del paradiso:

“Il bello era pervaso d’aria e di luce, era soave e mi era misteriosamente affine. Lo amavo teneramente, estasiato fino a sentirmi mancare il respiro, fino a dispiacermi di non potermi fondere con lui per sempre, di non poterlo accogliere dentro di me e di non potere, io, entrare in lui”.

Riccardo Paradisi

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