Tarro: ma quale movida, le morti Covid sono colpa della folle gestione dell’emergenza

Tarro

Ma perché, oggi, gli ospedali sono strapieni e perché “per il Covid” sta morendo tanta gente? Ma davvero – come raccontano gli “esperti” in TV e sui giornali – è tutta colpa nostra che non abbiamo “rispettato le regole”?

O è colpa della “movida”?

Oppure sono i 2 mila euro in più che arriverebbero dalle Regioni agli ospedali per ogni malato dichiarato Covid (dichiarazione espressa da Bertolaso che, nonostante un goffo tentativo di “debunkeraggio” parrebbe essere vera)?

Oppure è colpa del virus che, dopo l’estate, si sarebbe “incattivito”?

Lo abbiamo domandato al Prof. Giulio Tarro (qui le sue precedenti interviste pubblicate su L’Antiplomatico; qui la nuova edizione del suo libro “Covid: il virus della paura”)

Intanto una precisazione. Ogni anno, in Italia muoiono mediamente 650.000 persone, per lo più anziane. Secondo l’ISTAT,  tra le patologie considerate come cause di morte (dopo quelle dell’apparato circolatorio e i tumori)  al terzo posto ci sono le cosiddette “polmoniti”, spesso inglobate nel termine “influenza”. Polmoniti e influenza che ogni anno provocano il collasso di reparti di Terapia intensiva e Pronto soccorso. Questi collassi si verificavano solitamente tra dicembre e marzo perché, fino ad un anno fa, funzionava una pur inadeguata medicina territoriale che arginava o posticipava i ricoveri. Non così oggi, con quarantamila medici di base che, per lo più, invece di visitare i pazienti a casa o negli ambulatori, si limitano ad un “consulto telefonico”. I sintomi non curati adeguatamente, così, si aggravano e così oggi molti arrivano in condizioni disperate negli ospedali; nei quali, oggi anno, secondo varie stime, già si registrano 8-10.000 morti per infezioni ospedaliere. Ecco spiegate le “cifre ufficiali” di questi giorni con le quali ci hanno imposto, dopo essere stati due mesi chiusi in casa, un altro lockdown.
Quindi, non c’è stato nessun “incattivimento” del virus?
Assolutamente no. Già ad aprile prevedevo che il Sars-Cov-2 avrebbe conosciuto la stessa evoluzione di altri Coronavirus e oggi sono moltissimi virologi che mi danno ragione. Il problema è che la tragedia che oggi ci viene sbandierata per giustificare vessatori e inutili lockdown non è legata al virus ma alla sbagliata gestione dell’emergenza messa in atto per affrontarla.
A marzo, quando il virus già contagiava milioni di italiani, per costringerci a restare chiusi a casa per due mesi (conteggiando come “contagiati” solo coloro che risultavano positivi ai pochi tamponi che allora si effettuavano e come “morti per Covid” tutti coloro che risultavano positivi al tampone effettuato prima o dopo il decesso) hanno avuto la spudoratezza di affibbiare a questo virus un tasso di letalità talmente spaventoso da far scomparire la medicina territoriale e scatenare il terrore e il caos nei servizi sanitari. Oggi sta succedendo di peggio. Pur di perseguire la loro caccia all’untore e ai “focolai di Covid” hanno centuplicato i tamponi (peraltro inaffidabili, considerando, ad esempio, gli innumerevoli cicli di PCR) per presentare un “aumento del contagio” che sta producendo una corsa verso gli ospedali e la stessa tragedia di marzo.
Oggi, comunque, sono in molti a ribellarsi…
C’è molta rabbia ma, purtroppo, non c’è consapevolezza sulle proposte. Da una parte c’è chi, stravolgendo lo slogan delle proteste qui a Napoli “Voi chi chiudete, voi ci pagate”, si limita a chiedere “sussidi” che rischiano di essere finanziati tagliando stipendi e pensioni. Poi c’è chi si limita ad inneggiare esclusivamente ad una “libertà” che – in questi tempi caratterizzati da una isteria e ipocondria dilagante – viene considerata dai più come la causa della “ripresa del contagio”. Ci vorrebbe ben altro.
Un consapevole movimento che, basandosi su dati scientifici, chieda un programma ben diverso dalla folle gestione dell’emergenza finora attuata dal governo e dai governatori regionali. Alcuni punti di quello che potrebbe essere questo programma li ho già illustrati in una mia precedente intervista. Non è il caso qui di ripetermi.
Francesco Santoianni

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