Del comunicare antroposofia

di Piero Cammerinesi

Chiunque sia in qualche modo chiamato a comunicare scienza dello spirito, sia privatamente che pubblicamente, si trova, prima o poi. di fronte ad una serie di interrogativi.

Innanzi tutto ho scritto espressamente chiamato, in quanto credo che sia necessario in primo luogo chiedersi se l’impulso a comunicare sia una esigenza del nostro ego o una precisa richiesta del proprio destino.

Personalmente non mi sono mai fatto avanti come conferenziere né proposto per interviste ma, al tempo stesso, non mi sono mai tirato indietro se mi è stato chiesto di parlare in pubblico su qualche argomento collegato con l’antroposofia.

Se ne veniamo richiesti ritengo giusto essere disponibili a dare il nostro contributo – piccolo o grande che sia – naturalmente in modo totalmente libero ed avulso da qualsivoglia remunerazione.

Credo che sia molto importante, a tal proposito, seguire rigorosamente le indicazioni che Rudolf Steiner diede ad Adelheid Petersen nel corso di una sua conversazione con lei:

Al principio del lavoro lei terrà la prima conferenza. Ma le dico questo: se vi saranno solo tre persone, se vi sarà una sola persona, lei terrà la sua conferenza come se vi sedessero cinquecento persone. Può esserci quello per cui la cosa abbia importanza.

Dunque, dicevo, essere disponibili senza proporsi, in quanto, se siamo noi a farci avanti ed a ‘spingere’ per dire la nostra in contesti scientifico-spirituali è estremamente probabile che questa ‘spinta’ nasca dal nostro ego, che vuole dimostrare a noi stessi ed agli altri la nostra conoscenza della materia. Questo senza voler ipotizzare la peggiore eventualità, vale a dire quella di voler ‘apparire’ come degli pseudo-maestri da ammirare e seguire.

Atteggiamento purtroppo presente nei circoli antroposofici in tutto il mondo che dimostra quanto venga trascurata l’enorme responsabilità di chi opera spiritualmente oggi:

Il lavoro antroposofico è una realtà nei mondi spirituali. Esso giunge fino ai mondi spirituali, fino alla vita degli esseri delle Gerarchie superiori. Per mezzo del giusto lavoro antroposofico, molta parte del male che avviene nel mondo può essere pareggiata per i Mondi spirituali, che continuamente agiscono su tutto (ibid.).

Solo tenendo sempre in mente il fatto che siamo dei ‘servitori dello spirito’ e che nulla sappiamo se non quello che abbiamo realmente conquistato in questo ambito, possiamo sperare di sfuggire al sempre presente inganno dell’ego che vuole farci apparire per quello che non siamo.

A parte l’atteggiamento interiore – senza dimenticare le differenze tra noi per il fatto di appartenere ad una tra le diverse correnti nelle quali ci siamo incarnati – c’è poi la questione delle modalità con le quali ci apprestiamo a comunicare scienza spirituale.

In estrema sintesi parlerei di tre modalità, ciascuna con le proprie luci ma anche le proprie ombre.

La prima è, direi, squisitamente intellettuale.

Dopo aver studiato per anni antroposofia sono estremamente  preparato su molti argomenti e sono in grado di trasferire le mie conoscenze senza che il pubblico debba leggersi decine di cicli.

Si tratta di una modalità certamente utile se in qualche modo trasmette all’uditorio un impulso ad indagare poi personalmente, inducendo gli ascoltatori ad appropriarsi successivamente in modo personale dei contenuti antroposofici.

Il lato meno luminoso di questa modalità è che necessariamente parla solo alle menti degli uomini e non al cuore, riuscendo spesso poco funzionale all’accoglimento di tali contenuti da parte di tutto l’essere umano.

Si tratta di un parlare alle menti, non al cuore.

Saremmo già molto avanti con l’antroposofia nel mondo se i nostri conferenzieri non parlassero tanto traendo dalla loro testa. Non si può oggi appropriarsi intellettualmente di qualcosa di scientifico-spirituale e spacciarlo domani o dopodomani, oppure in un paio di settimane o di mesi, spremendoselo dalla testa. Questo può essere del tutto esatto riguardo al contenuto, può anche essere bello nel porgere. Ma non vive. Tutto deve essere dapprima elaborato concettualmente, ma deve poi trasformarsi. Deve diventare vita, figura. E ciò deve stare dietro l’elemento concettuale di una conferenza. Si deve parlare con tutto l’uomo, con tutte le forze del cuore sature di volontà (ibid.).

La seconda è meno intellettuale e più empatica.

Si tende ad emozionare le persone con quell’entusiasmo che sorge dall’aver colto la straordinaria grandezza dell’insegnamento antroposofico e dal sentire l’impulso a condividere tale entusiasmo con l’altro o gli altri.

Se la scienza spirituale mi ha cambiato la vita sento irresistibile l’impulso a condividere la via di trasformazione che in me ha dato tali frutti e non riesco a trattenermi dall’incitare gli altri a intraprendere lo stesso cammino.

Il lato meno luminoso di questo approccio è che in qualche modo riteniamo che l’altro – nonostante le inevitabili differenze di personalità, esperienze, destino – debba condividere il medesimo entusiasmo che noi gli trasmettiamo più a livello di sentire che di esperienza interiore.

Si tratta spesso sì, di un parlare ai cuori, ma tramite il filtro delle nostre emozioni.

Ciò che è fondamentale per qualsiasi lavoro antroposofico realmente giusto è: può parlare e spiegare soltanto ciò che dei contenuti dell’antroposofia è diventato reale vita interiore. Ciò che è diventato gioia di vita, condizione di vita, ciò che ha riunito con lei. Solo questo penetra negli altri. Solo questo fa realmente d’intermediario all’Antroposofia (ibid.)

La terza si riferisce alla volontà di conoscenza e di azione.

Siamo consapevoli di aver ricevuto un dono enorme – meritato o immeritato che sia – con l’aver incontrato la scienza dello spirito – e magari un Maestro in carne ed ossa – ma sappiamo che la via che abbiamo intrapreso richiede qualcosa di ben preciso.

La nostra trasformazione, per un verso, e la prosecuzione ed adattamento dell’antroposofia al tempo in cui stiamo vivendo.

Intendo dire che possiamo conoscere a menadito le rivelazioni della scienza spirituale e le descrizioni del passato dell’umanità ma non siamo in grado di interpretare il presente, in quanto esso si manifesta in modo molto diverso dalle descrizioni di Rudolf Steiner.

A parte le sue profezie – molte delle quali esattamente realizzatesi – per il futuro, egli è vissuto un secolo fa e le modalità in cui la storia si presenta oggi sono spesso difficilmente sovrapponibili alle sue descrizioni.

Cosa ci viene richiesto allora?

A mio avviso di utilizzare il metodo di indagine che egli ci ha fornito nonché le descrizioni di avvenimenti accaduti nella sua epoca, per comprendere, interpretare e reagire agli accadimenti del tempo presente.

Abbiamo sperimentato tutti questa necessità di comprensione dei fatti nei tre anni di pandemenza, ed oggi ci troviamo di fronte ad una guerra che devasta una regione europea ed all’insorgere di forze distruttive nei confronti della identità di genere, della famiglia e della società umana.

Abbiamo visto che anche nei nostri circoli le interpretazioni di tali fatti sono state le più varie – e sovente antitetiche – quando si è trattato di prendere una posizione, ad esempio, di fronte ai vaccini, così come oggi di fronte alla guerra ed alla questione climatica.

Questo non significa che dovremmo tutti pensarla nello stesso modo perché siamo discepoli della scienza dello spirito ma certamente che dovremmo utilizzare con grande sagacia gli strumenti del pensiero libero che la scienza spirituale ci ha fornito.

Se Rudolf Steiner – per fare un esempio – ci ha puntualmente descritto le forze occulte che hanno agito dietro le quinte per trascinare l’Europa nella catastrofe della Prima Guerra Mondiale, dovremmo innanzitutto comprendere che tali forze sono – in maniera ancor più virulenta – all’opera oggi e che vogliono indiscutibilmente trascinare il mondo verso nuove catastrofi.

Allora credo ci venga richiesto di ‘portare avanti’ la scienza spirituale immettendo nell’atmosfera spirituale della Terra pensieri corretti e veritieri, cercando di non cadere nella trappola della faziosità che sovente non tiene conto dell’estrema complessità dei fatti che ci vengono incontro.

Noi viviamo immersi nella cronaca e non siamo in grado di cogliere il senso della Storia, diversamente da quello che Steiner fu in grado di fare nel suo presente, allorché indicò – senza partigianeria – i retroscena occulti ed il senso di quanto stava accadendo intorno a lui.

Voi direte “Ma io non sono Steiner”.

Certo, tuttavia il nostro compito non è certo quello di ripetere a pappagallo le sue descrizioni degli avvenimenti del passato ma di dar vita a comprensioni veraci del presente.

Noi dobbiamo essere non i ‘ripetitori’, ma i ‘prosecutori’ del suo lavoro.

La scienza dello spirito ci richiede, a mio avviso, due cose fondamentali: trasformare noi stessi tramite l’ascesi del pensiero e proseguire l’opus della conoscenza del mondo e della storia sviluppando, di conseguenza, il giusto atteggiamento da prendere nei confronti di quanto ci viene incontro dal destino – nostro e dell’intera umanità.

Solo la sete di conoscere e la volontà di apprendere rendono un uomo capace di vedere chiaro negli eventi del mondo. È necessario farsi compenetrare almeno una volta dall’esigenza – questa esigenza deve essere portata almeno una volta nella vita dei giorni nostri – di non sviluppare l’entusiasmo della distrazione, ma l’entusiasmo dell’attenzione. (Rudolf Steiner, Dornach 9 Dicembre 1916)

Ecco allora che dei tre approcci, che possiamo sintetizzare in pensare-sentire-volere personalmente credo che il terzo sia forse quello più necessario all’ora presente, in quanto ci immette nella invisibile catena dei prosecutori dell’opus scientifico-spirituale, in particolare se siamo chiamati a dare un contributo attivo nella comunicazione antroposofica.

In copertina: tela di Fiorenza de Angelis

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