Perceval, il Politicamente Corretto non guarisce il Re Pescatore

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Scrive Jan Assmann che chi

“guarda già al «domani» nell’«oggi», deve preservare lo «ieri» dallo scomparire, cercando di trattenerlo mediante il ricordo”. [1]

Jan Assmann sottolinea, citando Marcuse, che ricordare il passato può dare origine a intuizioni pericolose e che già Tacito

“si lamentava dell’annientamento del ricordo sotto un potere totalitario: «Avremmo perduto la memoria stessa insieme alla lingua, se il dimenticare fosse in nostro potere come il tacere» (Agricola).

«La dittatura», commentano H.Cancick-Lindermaier e H. Cancik a proposito di questo passo «distrugge la lingua, la memoria e la storia»”. [2]

Ne consegue che la cancel culture è la tracotante cultura di una dittatura travestita da progressismo e da democrazia.

Distruggere la memoria, la cultura e la storia, significa impedire di apprendere e di meditare su quanto ci viene dalla Tradizione, che è il basamento, il fondamento, sul quale l’oggi può costruire un domani non utopico (senza luogo), ma saldamente ancorato a luoghi fisici e della memoria.

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In questo senso, come luogo della memoria che ha molto da proporci come argomento di riflessione, è il Perceval di Chretien de Troies, l’iniziato che è fallito, in quanto non si è assunto l’onere e la responsabilità della domanda, trasgredendo il politicamente corretto del silenzio.

Perceval deriva da percer (penetrare) e da val e il suo significato è, pertanto, quello di penetrare la valle che, in sensi traslati, può significare sia colui che penetra sessualmente la donna, sia colui che penetra la terra (riti di fertilità), sia colui che penetra il mistero dell’eterno femminino.

Perceval è figlio di una vedova, ossia di un eterno femminino divenuto infertile ed esiliato nella Foresta Guasta.

Il penetrare la valle rimanda, in perfetta coerenza con l’infermità del Re Pescatore, alla ritualità dei re celtici e al loro sposalizio rituale con la terra e con la tribù, alle quali dovevano garantire prosperità e benessere.

L’infermità del Re Pescatore è la sua infertilità che solo l’attivazione della domanda può guarire.

Chi non fa domande è infertile e perpetua l’infertilità.

E’ la domanda che guarisce il Re Pescatore, ma Perceval fallisce perché non ha ben inteso quanto gli è stato insegnato durante il suo cammino iniziatico verso il castello del Graal.

Come ho avuto modo di scrivere nel saggio: “I Fedeli d’Amore alla corte di Artù, con il Perceval di Chretien de Troies per la prima volta il mito del Graal entra nella letteratura francese. Perceval, apparentemente, è la genesi di un cavaliere: formazione alla cavalleria, all’amore, alla religione.

La madre vive nella Foresta Guasta perché il re è infertile.

“Vostro padre – dice la madre a Perceval – se non lo sapete, fu crudelmente ferito alle gambe e ne rimase infermo. Le sue vaste terre, il suo gran tesoro conquistato con valore, tutto andò perduto e fu triste povertà”.

Perceval, tuttavia, incontra dei cavalieri e attratto dal loro status abbandona la madre. Accade anche a Peredur, l’equivalente di Perceval nei Mabinogion, il quale incontra Gwalchmei (Falco di Maggio, equivalente di Galvano), Gweir e Owein (equivalente di Ivano). Anche Peredur lascia la madre e viene per questo “scomunicato”, ovvero tolto dalla comunione, separato.

Perceval viene ammaestrato da Gorneman, vecchio cavaliere di Gorhaut, nel cui nome il termine gor indica l’Aldilà.

Peredur è ammaestrato da due zii, secondo le regole dell’avunculato, di matriarcale origine. Il primo gli comunica che lo farà cavaliere, che sarà suo maestro e gli fa una raccomandazione:

“Ecco ciò che dovrai fare: se vedrai cosa insolita non fare domande a meno che non si sia abbastanza cortesi da dartene spiegazioni; il biasimo non ricadrà su di te, ma su di me, che sono il tuo maestro”.

A Perceval il suo maestro di cavalleria aveva detto:

“Non parlate troppo volentieri. Chi parla troppo pronuncia parole che potrebbero tornargli a follia. Chi troppo parla fa peccato, dice il saggio. Per questo, mio caro amico, ve ne sconsiglio”.

L’invito a stare zitti equivale a quello di non osare, di non essere capaci di buttare il cuore oltre l’ostacolo, di riconoscere la propria ignoranza e di chiedere. Il potere della domanda viene così sterilizzato.

Perceval arriva al castello del Re Pescatore, vede la spada, portata da un valletto, che gli viene donata, vede la lancia chiara con il ferro bianco, con una goccia di sangue che cola dalla punta.

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A questo punto Perceval vede il Graal.

“Una fanciulla molto bella, slanciata e ben adornata veniva coi valletti e aveva tra le mani un Graal. … Dietro di lei un’altra damigella recava un piatto d’argento. Il Graal che veniva avanti era fatto dell’oro più puro. Vi erano incastonate pietre preziose di molte specie, le più ricche e le più preziose che vi siano in mare o sulla terra. Nessuna potrebbe paragonarsi alle pietre che cingevano il Graal. Come la lancia era passata davanti al letto, così passarono le due damigelle. Andarono da una stanza all’altra. Il giovane le vide passare, ma nessuno osò domandare a chi si presentasse il Graal nell’altra sala, perché sempre aveva nel cuore la parola dell’uomo saggio, il maestro di cavalleria. … Allora davanti ai due convitati un’altra volta passa il Graal, ma il giovane non domanda a chi lo si serva. … A ogni portata vede ripassare davanti a sé il Graal tutto scoperto”.

Una prima considerazione necessaria riguarda la processione e i portatori dei quattro simboli presenti nel racconto.

La spada, che viene donata a Perceval, è retta da un valletto, così come la lancia sanguinante. I due simboli evidentemente maschili (anche nel loro significato sessuale) e guerrieri sono portati da maschi.

Il Graal e il piatto d’argento che lo segue sono portati da fanciulle.

Il Graal, che non viene descritto nella sua forma, è adornato di pietre preziose, è d’oro e risplende come il sole. Il piatto è d’argento.

Possiamo qui vedere la compresenza di due aspetti della luce: quella solare e diurna e quella lunare e notturna, con la luna (il piatto d’argento) che segue il sole (l’oggetto d’oro).

Nel racconto di Chrétien, con un breve inciso nella parte riguardante Galvano, è introdotta la versione cristiana del Santo Vaso come calice che porta l’ostia, assecondando la regola della simulazione dell’ortodossia tipica dei Fedeli d’Amore.

Un’analisi puntuale dei simboli ci riporta ai quattro doni dei Tuatha Dé Danann, ossia la spada di Nuada, la lancia di Lugh, il calderone di Keridwen (o del Dagda) e la pietra di Fail (il piatto d’argento).

Sono doni che provengono dalle città della Sapienza primordiale iperborea: le quattro città mitiche sedi della Conoscenza e dei Saggi del Nord. Siamo a Tir na n’Og (l’Altromondo) e le quattro città sono: Falias (di Fal – siepe e sovranità); Gorias (di Gor – fuoco); Finias (di Fin – bianco); Murias (di Mur – acqua). Da Falias proviene la Pietra di Fal, che riconosce la sovranità del re; da Gorias la lancia di Lug; da Finias la spada di Nuada e da Murias il Calderone del Dagda. Qui i Tuatha De Danann sono stati educati da quattro Druidi o uomini saggi: Morias, Urias, Arias, Senias (in altre versioni: Morfesa a Falias, Esras a Gorias, Senias a Murias e Uiscias a Findias).

Nelle carte dei Tarocchi (linguaggio segreto dei Fedeli d’Amore) li ritroveremo nella versione: spade, bastoni (la lancia), coppe (il calderone) e denari (il piatto, la pietra di Fail).

Il Graal, pertanto, è il magico calderone della Sapienza, quello dove Keridwen bolle la pozione che trasformerà il nano Gwyon Bach nell’iniziato Taliesin ed è anche il calderone della trasformazione dei morti in viventi nell’Aldilà: il calderone della vita e della morte.

Anche Peredur, al quale viene data una spada portentosa, non chiede.

“Peredur conversava con lo zio, quando vide attraversare la sala e entrare in una camera due uomini che portavano un’enorme lancia: dalla punta della lancia colavano tre rivoli di sangue. A tale vista, tutta la compagnia prese a lamentarsi e a gemere. Tuttavia, il vecchio non interruppe il colloquio con Peredur; non dette spiegazioni e Peredur non ne chiese. Dopo qualche istante di silenzio, entrarono due fanciulle che portavano un grande vassoio sul quale si trovava la testa di un uomo immersa nel sangue. Tutti emisero allora tali grida ch’era difficile rimanere nella medesima sala. Infine, tacquero. Quando fu giunto il momento di coricarsi, Peredur si recò in una bella camera. L’indomani partì con il congedo dello zio”.

Anche nel racconto del Mabinogion abbiamo quattro oggetti: una spada, una lancia, un vassoio e una testa d’uomo immersa nel sangue. La testa posta sul vassoio è portata da due fanciulle.

Il Graal, in questo caso, è una testa, che rimanda al racconto del secondo ramo del Mabinogion: Branwen, figlia di Llyr, dove i guerrieri sopravvissuti ad una battaglia tra Bran, re di tutta la Britannia e Matholwch, re d’Irlanda (dietro ai re si nascondono divinità) staccano la testa a Bran, che non solo vaticina, ma, sepolta a Londra, difenderà la Britannia per sempre contro i suoi nemici.

Il racconto di Bran, come gli altri del Mabinogion, introduce il rapporto tra i due mondi, quella terreno e quello dell’Oltretomba, che troviamo anche in Chrétien.

Il complesso simbolico del Graal nel Peredur è la sede del Pensiero, così come in Chrétien è il simbolo stesso della Sapienza divina che non a caso presuppone l’esercizio della domanda.

Chi non chiede non saprà. A chi non bussa non sarà aperto. Ecco il motivo per il quale nella vita di un iniziato è necessaria la sostituzione dei punti esclamativi con i punti di domanda. E’ la domanda che salva il re dall’infertilità, che ridà vita alla terra guasta e inaridita. E’ la domanda che vivifica, perché sollecita la tensione verso la Sapienza.

La domanda è Amore.

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Va, infine, notato che a portare il Graal sono due donne e che nel corteo del Graal ci sono valletti e fanciulle, ossia sacerdoti e sacerdotesse della Sapienza. L’iniziazione alla Sapienza non è appannaggio dei soli uomini. L’iniziazione è maschile e femminile ed è l’eterno femminino che ha nelle mani la Sapienza.

Perceval incontra un eremita che gli insegna in gran segreto una preghiera, che deve imparare a memoria, contenente molti nomi che non deve mai pronunciare se non a causa di un grave pericolo.

Perché tante raccomandazioni al silenzio quando il potere di guarigione del Re Pescatore è nel porre la domanda giusta?

L’iniziatore, scrive Markale,

“non sempre indica il cammino da seguire, fornisce soltanto alcuni elementi di quello che occorre sapere e mescola verità e menzogne. Se il nuovo eletto è degno di esserlo, troverà la strada, separerà il vero dal falso. Mai, infatti, un iniziatore può sostituirsi all’iniziato: tocca a quest’ultimo portare a termine la ricerca… Per prima cosa, il vero iniziatore non dichiara mai di esserlo. E’, per così dire, come il Castello del Graal: gli si passa davanti senza accorgersi della sua presenza. Solo alcuni lo riconosceranno. E, in seguito, solo alcuni, sempre meno, si accorgeranno delle menzogne dell’iniziatore. Questo è il gioco”. [3]

A Perceval l’eremita in qualche modo spiega dove sta il vulnus. “Il tuo peccato ti ha ghiacciato la lingua”, dice l’eremita dopo avergli spiegato che l’abbandono della madre l’ha fatta morire. Lasciare la Dea rende incapaci di fare la domanda, di essere fertili e di donare fertilità. Come riparare? L’eremita dà un consiglio:

“Se una fanciulla ti chiama a soccorso, o una vedova o un’orfana, soccorrile ché bene te ne verrà”.

Il rapporto con la Dea riprende da quello con il soccorso al femminile.

Il riferimento al soccorso è anche un’indicazione puntuale alla vocazione tradizionale degli appartenenti alle Fianna, le schiere dei combattenti iniziati della cultura druidica, paradigmatica per la generazione dei Templari (echi li ritroviamo nel rituale massonico: soccorrere le vedove e gli orfani).

La Foresta è Guasta perché il re è infertile. Oggi la Foresta è Guasta perché la Téchne ha sostituito la Sapienza e la Scienza (da scire), che è la tensione verso il sapere, verso la Sapienza.

Oggi la Foresta è Guasta perché il prodotto (la tecnica) si è sostituita al produttore.

Oggi la Foresta è Guasta perché i falsi filantropi e le élite dei falsi progressisti indicano il silenzio del politicamente corretto, sterilizzano il dubbio e la domanda, appiattiscono le menti.

Oggi la Foresta è Guasta perché si cancella la cultura, la storia, collocando il mondo e l’umanità in un’utopia negativa (distopia) che è nichilista, portatrice di tristezza e di morte, inibente la vitalità che proviene dalla fertilità.

Oggi i propugnatori dell’eliminazione della domanda vogliono che Perceval (tutti noi) fallisca, non ponga domande, non guarisca il Re Pescatore, perché il pianeta non è  Φύσις (Pýsis) , ma téchne, perché l’essere umano non è βίος  (bíos), essere vivente, manifestazione individua di  ζωή (zoé), la “vita qua vivimus”, quella che è l’essenza della vita, ma è destinato ad essere prodotto della Téchne, bionico: dispositivo con funzioni proprie di organismi viventi.

La deriva inumana del transumanesimo è la sfida alla quale oggi sono di fronte coloro che sono dotati di libero pensiero e intendono mantenerlo, ponendo dubbi, domande, chiedendo costantemente verifiche.

Stare zitti è tradire il Re Pescatore, vedere inutilmente passare davanti a sé il Graal.

[1] Jan Assmann , La memoria culturale, Einaudi

[2] Jan Assmann , La memoria culturale, Einaudi

[3] Jean Markale, L’enigma dei Catari, Sperling e Kupfer

Fonte

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