L’alternativa alla società del mercato e del controllo

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Ogni giorno che passa siamo più “controllati”. Il green pass, ovvero uno strumento totalmente antidemocratico e anticostituzionale (oltre che palesemente inutile), che subordina i nostri diritti inalienabili all’esercizio di un comportamento “virtuoso” (ovvero obbediente), non è altro che la massima espressione di un processo che affonda le sue radici nel passato.

 

Il filosofo Gilles Deleuze, d’altronde, inizia a parlare di “società del controllo” già nel 1990, delineando le caratteristiche di una nuova società in cui l’uomo si illude di essere libero, mentre la sorveglianza invade qualsiasi ambito della sua vita.

Il libro “Il capitalismo della sorveglianza” di Shoshana Zuboff non fa altro che descrivere la realizzazione pratica delle intuizioni di Deleuze. La nostra società ci offre dei servizi “gratuiti”, come Google, Facebook e Instagram, in cambio della possibilità di monitorare le nostre vite e utilizzare i dati ottenuti per fini di mercato e di controllo. Non dovrebbe stupire che le origini di Facebook sono da far risalire al programma militare di profilazione di massa LifeLog, ma certamente il famoso social network sarebbe stato meno gradito al pubblico, sapendo che anziché provenire dal giovane prodigio Mark Zuckerberg, era stato progettato dal DARPA (Defence Advanced Research Projects Agency), ma questi, si sa, sono solo dettagli…


Il famoso banchiere ed economista Ettore Gotti Tedeschi nel 2020 lo disse senza giri di parole: il Covid è stata la scusa perfetta per attuare una svolta totalitaria “tutta tecnica e medicina” nelle società occidentali, prendendo esempio dal modello del credito sociale cinese.
Ma insomma, forse non c’è nemmeno bisogno di citazioni importanti né di studiare i bellissimi libri di Giorgio Agamben e nemmeno di andare a leggersi il programma del Great Reset ad opera del World Economic Forum per capire ciò che sta accadendo.

In fondo, basta uscire per strada: le telecamere spuntano ovunque, come funghi in autunno, i luoghi di incontro e di condivisione stanno scomparendo, le persone sono sempre più sole, intrappolate nei loro smartphone e oggi addirittura nascoste persino nel volto da carnevalesche mascherine, completamente inutili all’aperto, eppure obbligatorie.

Ma, una volta appurata questa deriva anche dai più restii a riconoscere la realtà, la vera questione è: qual è la nostra parte di responsabilità? Perché abbiamo “bisogno del controllo”?

Non fraintendetemi, non voglio affatto negare le responsabilità dei “sorveglianti”. Noi siamo a tutti gli effetti vittime di un sistema economico e politico che attraverso la corruzione alimenta il potere e la ricchezza di quella che ormai si può tranquillamente definire un’oligarchia.

Negli ultimi due anni i dieci uomini più ricchi del mondo hanno raddoppiato i loro patrimoni e si stima che nello stesso tempo 163 milioni di persone siano cadute in povertà. Pericle ad Atene, a suo tempo, era stato molto chiaro: un eccessivo divario sociale non è compatibile con la democrazia. Tuttavia queste condizioni, seppur terribili non sono sufficienti a spiegare il fenomeno che stiamo vivendo. Il controllo che ci viene imposto dall’esterno non può che procedere parallelamente alla nostra personale “fuga dalla libertà”, come ci ha insegnato Eric Fromm.

È incredibile come più avanzi il progresso tecnico e scientifico, più abbiamo irrimediabilmente paura della morte.

Ma davvero pensiamo che il controllo possa essere l’antidoto alla nostra paura?

Il filosofo danese Soren Kierkeegard ha dedicato la sua opera all’angoscia della scelta e, con buona pace di Klaus Schwab e dei suoi molti fedeli, è giunto a conclusioni diverse. Sia le infinite possibilità, e quindi la pretesa di potercela fare da soli, sia la mancanza di libertà portano inevitabilmente alla disperazione. La terza via, l’unica via possibile per Kierkeegard, è la via della fede, la fede come ricerca, come apertura al mistero, come riconoscimento della nostra mancanza. La fede che dona la forza di guardare la realtà e il coraggio di agire seguendo la propria coscienza. Nietzsche ci aveva avvisato di ciò che avrebbe prodotto la morte di Dio, ma Dio non è morto. Sta a ognuno di noi scegliere di richiamarlo ed è forse l’unico modo per uscire da questa follia collettiva, perché come scrisse il grande Carl Jung “la vera terapia consiste nell’approccio al divino”.

Giuseppe Lorenzetti

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